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SullyLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Francesco Pozzo29 novembre 2016Voto: 7.5
All’apparenza semplice storia dei retroscena dietro al miracoloso ammaraggio sull’Hudson effettuato nell’inverno del 2009 dal Capitano Chesley Sullenberger in seguito all’avaria di entrambi i motori del suo volo, l’asciutta, esemplare e memorabile nuova gemma della filmografia eastwoodiana racchiude all’interno di essa, come sempre, molto di più.
Piccolo grande film sull’etica, il senso del dovere e il rispetto per l’umanità, “Sully” è un film sincero, toccante e patriottico nell’accezione migliore del termine, un’opera che esalta l’uomo e la civiltà sopra ogni cosa e ogni valore e che vede il successo e la grandezza del proprio Paese nel lavoro di molti, visione condivisa in toto da quel Capitano Sullenberger che apparirà in carne ed ossa nei bei titoli di coda, uomo retto che rispetta e ha a cuore il prossimo suo, e che alla luce di questo opera una scelta precisa: fare bene il proprio lavoro fino alla fine, riuscendoci grazie anche all’aiuto di una squadra che non si dimenticherà di elogiare e di ringraziare in pubblico e in privato, fra una lacrima e uno sguardo più eloquente di mille parole come nei finali dei film di una volta, in cui si parlava poco ma si diceva tutto. Perché “Sully”, è proprio il caso di dirlo, è uno di quei film che non si fanno più. Breve, rigoroso, senza fronzoli né eccessi, di una purezza e di una lucentezza esemplari come sempre nel Cinema del grande Clint, autore che ha raggiunto ormai una maturità e una consapevolezza invidiabili e senza precedenti da cui ognuno di noi dovrebbe prendere esempio. Se in “American Sniper” non elogiava affatto la guerra ammirando però il sacrificio di chi in nome di questa si sacrifica (cosa ben diversa) ed evidenziando al tempo stesso tutte le ombre che la violenza porta con sé in una rappresentazione gelida e desolante della realtà e del conflitto, qui s’immedesima con tutta la sensibilità e la morbidezza che lo contraddistinguono nell’onesto e coraggioso working class hero straordinariamente interpretato da Tom Hanks, che non si reputa e non è un essere superiore da elogiare acriticamente, ma un uomo comune che nel momento del bisogno fa la cosa giusta e che farà di tutto per far valere le proprie ragioni dinnanzi all’aridità degli infondati e inesatti calcoli tecnologici, del tutto estranei a ciò che fa realmente la differenza in momenti come questi, ovverosia il fattore umano, fattore che appartiene a noi e a noi soltanto. A noi umani che siamo pronti a prendere la decisione della vita in 208 critici secondi in cui tutto potrebbe andare storto, benignamente assistiti e guidati da terra e in seguito, sventata la tragedia, riconosciuti e abbracciati da una collettività che non conosce razze né colori ma che è accomunata solo e soltanto dalla ricerca del Bene comune, prerogativa che l’occhio profondo e rigoroso di Eastwood coglie con esemplare lindezza e autenticità, ricordandoci anche però che dobbiamo sempre esser pronti a difenderci, perché le nostre azioni, per quanto nobili, autentiche e necessarie, potranno esser costantemente messe in discussione da poco assennati individui pronti a schierarsi (ma fortunatamente anche a ricredersi) a favore di quella tecnologia che pur con gli enormi balzi in avanti che ha fatto, specialmente negli ultimi anni, mancherà sempre di quel qualcosa che solo la nostra specie, pur con tutti i suoi difetti, può garantire. “Rendo grazie a qualunque Dio ci sia per la mia anima invincibile. Sono il padrone del mio destino, il capitano della mia anima”. Si concludeva con queste parole meravigliose e ispiratrici quel bel film sulla tolleranza che era “Invictus”, e in queste parole potrebbe esser racchiuso anche il pensiero del Capitano che in quella fredda giornata di gennaio portò in salvo 155 anime, perché Chesley Sully è, come cantavano i College in quel capolavoro folgorante ed immortale che è “Drive”, un ‘real hero’ e un ‘real human being’, un uomo come potremmo essere noi tutti che nel momento del bisogno non ci pensa neanche un secondo a far del bene e a salvare il prossimo diventando così eroe, un eroe che, come ricorda alla moglie impersonata dalla splendida Laura Linney, ha fatto semplicemente del suo meglio, e la cui parabola va di pari passo con quella di Eastwood stesso, unico vero cantore, ormai, di un Cinema classico e prezioso che non ha mai perso la sua luce, il suo fascino e la sua bellezza, un Cinema di note tenui e spazi bianchi foriero di un messaggio, una lezione, uno scopo, ma senza farlo mai pesare, intrattenendoci anzi con classe e arricchendoci come spettatori e come esseri umani. E anche se non siamo sui livelli dei suoi capolavori più grandi come “Million Dollar Baby” o “Lettere da Iwo Jima” (ma l’elenco sarebbe lunghissimo), innumerevoli sono ancora una volta le sequenze di grande e puro Cinema, dalla raggelante caduta dell’aereo alle passeggiate notturne col bravissimo e finalmente ritrovato Aaron Eckhart passando per i momenti di riflessione e apparente stasi nelle suite degli hotel di una sfolgorante New York City immortalata dalle inarrivabili telecamere IMAX e avvolta da un tema musicale candido e rassicurante come i capelli e i baffi del suo protagonista, che ci culla dolcemente fino alla straordinaria sequenza in cui, accertandosi della salvezza di tutti, il nostro non si decide ad abbandonare l’aereo, e così via fino all’ultima toccante ricostruzione dei fatti in aula, in cui la commozione ma anche l’orgoglio e la ritrovata consapevolezza di aver fatto la cosa giusta avranno finalmente la meglio. Vedere i film di Eastwood è un dovere e un lusso che tutti dovrebbero concedersi. Per riflettere e imparare, uscendone con la ferma convinzione di poter essere, anche nella confusione di questo mondo sballato e alla deriva, delle persone migliori. Perché noi tutti, nel nostro piccolo, possiamo cambiare le cose. E perché il fattore umano, checché se ne dica, fa sempre la differenza. La frase dal film:
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