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Lettere dalla Palestina
La fondazione "Cinema nel presente", ideata da Francesco Maselli nasce in contrapposizione alla cultura mercantile che si sta diffondendo nel mondo. Il lavoro della fondazione inizia nel 2001, in seguito ai tragici avvenimenti di Genova. In nome di questa iniziativa sono stati realizzati finora ben 11 documentari, alcuni già distribuiti in sala, altri distribuiti in VHS, altri ancora in fase di montaggio. Quasi tutte le realizzazioni sono dei lavori collettivi, anche se vi sono prodotti individuali, come ad esempio "Carlo Giuliani, ragazzo" di Francesca Comencini. Questo documentario si aggiunge agli altri girati dai vari registi che aderiscono alla fondazione negli ultimi due anni. Un lavoro immane, da elogiare. I vari autori si sono preoccupati di rappresentare sulla pellicola non storie romanzate, finto-drammatiche, ma storie vere, che ti colpiscono dritto al cuore. In "Lettere dalla Palestina", che verrà presentato alla Berlinale nella sezione Forum, vediamo città squassate dalle esplosioni, gente costretta a vivere alla meno peggio, bambini che giocano fra le macerie. Come non rimanere sconvolti nel vedere persone anziane, con il volto segnato dall'età e dalla tanta sofferenza, che si siedono a guardare, per ore, quella che era stata la loro casa, e che ora appartiene a qualcuno che non fa neppure caso a quanti alberi di limone ci sono in giardino, a quella colonna rotta che spunta in un angolo del patio? Come restare indifferenti di fronte ai sogni infranti di un giovane che voleva fare il pugile e che ora, a causa di una mina si ritrova senza una mano? Come non lasciarsi commuovere da bambini che hanno una maturità innaturale per la loro età, che parlano della guerra come della cosa più normale del mondo e della morte come di una compagna di vita, che non giocano con il pallone, ma si allenano a tirare sassi? E infine, come non sentirsi inutili di fronte al dolore di una madre che ha perso la figlia, prima donna kamikaze, ma che si ostina a lottare, a rivendicare i diritti del suo popolo, a sperare in un futuro migliore? Tutto quello che questo documentario mi ha trasmesso è angoscia per il futuro di tutte quelle persone, impotenza di fronte ai tanti interessi politici e commerciali che impediscono di risolvere la questione palestinese, e soprattutto rabbia. Rabbia per i tanti milioni di vittime innocenti, rabbia per l'indifferenza di gran parte del mondo, rabbia per non essere in grado di fare nulla. Rabbia per tutte le volte che mi sono svegliata la mattina e mi sono detta: "che brutta giornata che mi aspetta", e invece lì ci sono tante persone desiderose di realizzare qualcosa di buono e utile, ma che non possono farlo perché non riescono a raggiungere il posto di lavoro o l'università a causa dei blocchi ai ceck point, ci sono ragazzi che non possono avvicinarsi l'uno all'altro perché hanno una diversa fede religiosa, ci sono anziani che vivono in situazioni mostruosamente disagiate. La quotidianità di queste persone è nettamente diversa dalla nostra, devono continuamente fare i conti con rastrellamenti, bombardamenti, carestia, controlli, blocchi, esplosioni, coprifuoco e noi che facciamo? Nulla...
Teresa Lavanga
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