09 Febbraio 2010 - Conferenza
"Il figlio più piccolo"
Intervista a Pupi Avati e il cast.
di Mauro Corso

Tutti gli attori principali sono presenti alla conferenza stampa di presentazione dell'ultimo lavoro di Pupi Avati, e non c'è da stupirsene. Come al solito, il film esce nelle sale in grande stile (300 copie), anche in questo caso sotto il marchio di Medusa.


Questo film continua un discorso già intrapreso nelle ultime due pellicole?
Pupi Avati: Il figlio più piccolo è il terzo film che si occupa della figura paterna. Il primo era il padre della cena per farli conoscere, un padre inadempiente, che solo nel momento del bisogno si ricordava delle tre figlie. Con il papà di Giovanna ho posto al centro del racconto un padre fin troppo presente, ignaro però della schizofrenia in cui sta scivolando la figlia. Il terzo è per certi versi il peggiore dei tre, perché si ricorda del figlio solo per motivi di bieco interesse e ne approfitta per addossargli i suoi problemi con la legge e con il fisco.

Come mai in questo caso è stato attento alla realtà del nostro paese?
Pupi Avati: Il mio cinema non è mai stato di denuncia, perché per fare film di denuncia avrei prima di tutto dovuto transitare davanti a uno specchio. Il presente in questi ultimi tempi è diventato indecente, e non parlo solo della politica - sarebbe qualunquista - ma in tutti gli ambiti sta prevalendo la volgarità. Ormai sei quello che hai, i rapporti interpersonali sono fatui e insinceri, la scorrettezza praticata universalmente ha pervaso tutto così tanto che persino una persona come me insorge. L'unica ragione è stata la mia indignazione. Per questo ho voluto esaltare l'innocenza, quella più cogliona e disarmante. Mi rendo conto che questo è un valore per resettare il buio. Ricandidiamo dunque l'innocenza, il credere agli altri, nelle canzoni dei figli dei fiori e nel protagonista che vuole fare il film sul ristorante dei trans. Attraverso questo film voglio cancellare dalla mia interlocuzione tutto il resto. Nel futuro mi occuperò solo del presente a differenza di quanto ho fatto finora, il paese nostro deve essere sorvegliato perché sta andando in una direzione molto preoccupante.

Quali consigli ti ha dato Avati sul set?
Christian De Sica: Mi è sempre capitato di lavorare con registi che mi dicevano "voce!". Lui invece mi diceva "parla piano sennò sei falso, nella vita si parla piano!". Però gli altri parlavano piano e siccome sono sordo da un orecchio io seguivo il labiale. Pupi è un grande maestro di recitazione: avevamo fatto insieme Bordella, e poi lui è un maestro del cinema. Siamo rimasti sempre amici, il cinema di Pupi Avati mi ricorda molto quello di mio padre, e del resto mio figlio Brando fa l'assistente volontario di Pupi, segno della grande fiducia che ho in lui. Io sono un attore astuto e Avati è ingenuo, un po' come mio padre che sembrava un gigione ma era molto timido. Io ero in soggezione nei confronti di Laura Moranteperché era la Bianca di Moretti mentre io ho fatto il varieté e invece ho scoperto che è più matta di me. Spero che Pupi mi richiami in futuro. Papà sarebbe molto contento.

In questo film c'è un punto di equilibrio tra dramma e commedia nei personaggi?
Laura Morante: Penso che per interpretare personaggi drammatici sia necessario un grande senso del comico e per interpretare personaggi comici sia necessario un grande senso del drammatico. Per me non sono due cose contraddittorie. Ho sempre cercato di portare nei ruoli drammatici il comico. Per esempio Fiamma è un personaggio ridicolo e proprio per questo va interpretato con serietà e convinzione. Questo è un film che mi piace soprattutto quando è crudele. Penso che la crudeltà sia la base per essere buoni, per curare i mali per prima cosa bisogna vedere con grande spietatezza. Questo film è toccante e buffo soprattutto perché crudele.

Questo vale anche per Zingaretti?
Luca Zingaretti: Non posso che condividere quello che ha detto Laura e aggiungo una piccola cosa. Quando succedono cose di questo tipo, il merito è del regista che poi ha anche scritto la sceneggiatura. E' la mano del regista a rendere tutto comico, ma tu come attore in primo luogo ci devi credere. Nella sceneggiatura è singolare non la immoralità dei personaggi ma l'amoralità che li rende disinvolti nell'agire. Potrebbero tranquillamente accoltellare una persona mentre gli chiedono una sigaretta. I personaggi de Il figlio più piccolo non sono dei cattivi ma dei disperati che però fanno più male del cattivo, perché agiscono con assoluta mancanza di coscienza. Questo li rende buffi, ridicoli e pericolosi.

Qui c'è una forte indignazione nei confronti del presente. Si è ispirato a fatti reali?
Pupi Avati: Per quello che riguarda la parte esplicita (la storia di Christian) è evidente che questa attinge a mani basse alla cronaca degli ultimi anni. La parte delle macerie bolognesi, Fiamma e suo figlio, questa parte è ispirata alla realtà, perché ragazzi come Nicola Nocella esistono, non sono frutto della mia fantasia, non sono stati disegnati in 3D, nella mia troupe ne ho tre che lavorano così, che sono così. Se il film è riuscito lo dobbiamo molto Nicola, ha dato una sua sensibilità interpretativa che non era facile trovare. Quando cerchi una bella ragazza per un provino ne vengono 3000 se ne cerchi una non avvenente ne vengono in 11, come per il Papà di Giovanna. Così è anche per i ruoli maschili.

Perché in Italia si fanno pochi film
Pupi Avati: Ognuno di noi ha a disposizione la creatività e il paese ha avuto una caduta di creatività spaventosa. E' sufficiente invece di stare in giro nel paese stare a casa e scrivere una storia. Durante le riprese di un mio film recente abbiamo fatto l'elenco di 22 registi italiani che potrebbero fare un film all'anno ma non lo fanno. Perché non lo fanno? E' sufficiente rimettere in campo la propria creatività, ci si lamenta molto, ci si piange sempre molto addosso, ma si producono solo alibi. Se i ragazzi falliscono hanno già la propria giustificazione pronta: sono tutti raccomandati, eccetera eccetera. Io non sono raccomandato, faccio un film con Medusa o con Rai Cinema ma bisogna portare delle storie. Bisognerebbe andare meno ai raduni e alle manifestazioni, stare con se stessi e pensare.

Ci sono delle somiglianze tra il protagoniste e il Delle Piane di Regalo di Natale?
Nicola Nocella: Ho cercato di mettere quanto più potevo di me, non potevo che stare a sentire un maestro non potevo fare altro. Mi ero ripromesso di ascoltare il mio personaggio seguendo le direttive del regista. Più che a Delle Piane ho provato a guardare i mostri sacri che avevo davanti a me sul set. Recitare con Pupi che ti dirige è molto semplice: non è nemmeno un lavoro. Poi avevo la mannaia del mio maestro che poteva dirmi in qualunque momento "fai schifo". La prima scena che abbiamo girato è quella in cui Christian mi da l'azienda e faccio il discorso in cui mi era cambiata la vita. Per me è stata facilissima, ho dovuto solo portare quello che provavo in quel momento.

Quello che sta succedendo a Bologna ti ispirerebbe per un film?
Pupi Avati: No. Sono storielline rispetto ai temi grandi che ci riguardano tutti.

Come stato per Christian De Sica ricoprire un ruolo drammatico?
Christian De Sica: Quando fai il "cowboy" tutta la vita, alla fine Romeo non te lo fanno mai fare. Pupi Avati ha creduto in me e lo ringrazio. Per me a 59 anni è stato importante. Ho recitato con tanti registi e li ho fregati tutti, incluso mio padre. A lui, a Pupi Avati non lo freghi, mi dice "sei finto" non parlare bene, balbetta. Mi piacerebbe lavorare ancora con lui.

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