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Il figlio più piccolo
"Il figlio più piccolo" fa parte di una trilogia ideata da Pupi Avati sulla figura paterna. Il primo era "La cena per farli conoscere", il secondo "Il papà di Giovanna". Figure paterne dunque troppo assenti o troppo presenti; protagonisti comunque di rapporti disfunzionali in cui il padre è una figura nociva o, nel migliore dei casi, del tutto irrilevante.
Nel caso de "Il figlio più piccolo", il padre interpretato da Christian De Sica è una specie di sintesi tra i padri delle pellicole precedenti: del tutto mancante in principio e molto presente nella conclusione, per scopi peraltro tutt'altro che nobili.
E' difficile affrontare serenamente la recensione de "Il figlio più piccolo", perché la "scuderia Avati" non solo è tenuta in altissima considerazione nel panorama cinematografico italiano, ma è anche, per certi versi, non criticabile. Eppure, su un film come questo non si può che registrare la caduta di un tale mostro sacro. Sin dal principio ci troviamo davanti una messa in scena mediocre, una regia metodica ma priva di originalità e un supporto tecnico quanto meno approssimativo. A coronare questo quadro tutt'altro che roseo troviamo una recitazione convincente quanto una torta nuziale in un cimitero. La colpa, ahinoi, non è degli attori ma di quell'italico, atavico vizio del ri-doppiaggio, il nemico giurato di ogni immediatezza interpretativa (in alcuni casi, le voci sono palesemente fuori sincronia). Evidentemente Avati non sa che in Italia ci sono dei bravi fonici di presa diretta, oppure, viene da pensare, semplicemente non gli interessa. Il suo unico interesse sembra quello di perpetuare un cinema italiano antico e antiquario, in cui vengono rappresentati personaggi e situazioni che forse trent'anni fa avevano ragione d'essere ma che oggi sono del tutto privi di mordente. Le scene in automobile realizzate nei teatri di posa poi, si penserebbe siano dei reperti degli anni '50... Pupi Avati fa ricredere anche su questo.
Lasciando da parte la palese misoginia che aleggia dietro al personaggio interpretato da Laura Morante, anche gli altri personaggi sono costruiti in maniera ambigua, reali ma fino a un certo punto, grotteschi ma non del tutto. Tipico è l'esempio del personaggio di Zingaretti, il cui spessore è dato da una serie di accumuli pittoreschi e impressionistici, ma del tutto fini a se stessi. Il fatto che poi De Sica interpreti un immobiliarista è poi la spia di un grande difetto nostrano: prendersela con i potenti sì, ma solo con quelli che sono già caduti. Soltanto Nicola Nocella riesce a dare uno squarcio di autenticità e di spessore al protagonista di una storia, purtroppo, del tutto dimenticabile.
La frase: "Con le mamme le promesse non valgono".
Mauro Corso
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