La regina dei dannati

Dopo otto anni, e molti romanzi di Anne Rice, Lestat de Lincourt torna sullo schermo questa volta con l'aspetto di Stuart Townsend ("About Adam") anziché quello di Tom Cruise, a cui peraltro era stata offerta la parte, ma che ha rifiutato.
Il film, affidato a Michael Rymer, è esteticamente curatissimo ma all'insegna di atmosfere decisamente più dark di "Intervista con il Vampiro".
Lestat si risveglia sulle note della musica rock, a lui sconosciuta, e scopre che i nuovi idoli dei giovani sono popstar decadenti che vivono la notte come fosse giorno, praticamente né più né meno di ciò che lui è. La decisione è rapidamente presa: formerà un suo gruppo ed uscirà allo scoperto, abbandonando l'anonimato e rivelandosi al mondo. Questo contravviene, però, alla prima regola dei vampiri: mai rivelare la loro esistenza e quindi Lestat dovrà essere punito.
Le pedine in questo gioco sono molte di più di quante si penserebbe: Lestat, Marius (suo "padre"), Jesse (che fa parte di una setta dedita da secoli allo studio dei vampiri) ed Akasha madre di tutti i vampiri, ognuno con i suoi scopi segreti ed ognuno conscio che le sue azioni potrebbero cambiare il futuro dei vampiri. Durante un grandioso concerto nella Death Valley si tracceranno i destini futuri della razza più antica del mondo.

Questo secondo capitolo della saga di Lestat ci permette di scivolare molto più profondamente nella psiche del gentiluomo francese del diciottesimo secolo. Se precedentemente le sue origini erano state semplicemente accennate, ora scopriamo come e quando Marius ha deciso di farne il suo discepolo, il perché non è un "comune" vampiro ed il conflitto perenne che dilania la sua anima tra il suo romanticismo e la natura crudele che spesso muove le sue azioni, infatti non dimentichiamo che è disposto a qualunque sacrificio pur di raggiungere i suoi scopi.
Stuart Townsend ci offre un Lestat molto simile a Marlyn Manson, affascinante, ma freddo e distaccato e a volte un pò immaturo a differenza di quello di Cruise che risultava decisamente più passionale e maturo; l'unica componente fortemente in comune tra le due versioni è la solitudine, la paura di restare soli unita alla certezza del destino ineluttabile di non potersi amalgamare con gli uomini.
Anche la storia sembra essere vicina ad altre tematiche, la comunità dei vampiri, qui molto più presente, sembra essere quella degli immortali di "Highlander". Una sorta di setta complice, ma allo stesso tempo rivale. A dire la verità ci manca un pò quel bere dai polsi ideato dalla Rice, sostituito dai più classici morsi sul collo, e l'eleganza retrò di Lestat soppiantata dal cuoio e dal metallo.

Tecnicamente la produzione ha fatto notevoli sforzi per effetti speciali e protesi dentarie. L'aspetto dei vampiri è curato fino all'inverosimile come anche l'ambientazione, con particolare riguardo alla casa di Marius, ma è su Akasha che i truccatori hanno sicuramente dato il massimo. Un personaggio carismatico in grado di catturare la scena eclissando tutti gli altri.
L'unico appunto, ma non da poco, è rivolto alla scarsità di sangue ed al suo colore decisamente "nero". Una scelta ormai comune per mantenere le pellicole nella fascia "R - Restricted" ed evitare così la scure della censura americana. Triste!

La frase: "Io sono il vampiro Lestat! Con una sola frase, rivelando la mia identità, avevo tradito tutta la mia razza!"

La chicca: la scena finale in cu vediamo i due vampiri camminare a velocità normale mentre il resto del mondo si muove velocissimo, è stata ottenuta montando una cinepresa su un robot a rotaia in grado di muoversi ad altissima velocità sincronizzando l'otturatore con le due figure in movimento ed ottenendo così l'incredibile effetto finale.

Curiosità: nel film vediamo tre videoclip del gruppo di Lestat, si tratta di tre omaggi al cinema horror classico: "Il Gabinetto del Dottor Calidari", "Nosferatu il Vampiro" e il "Dracula" classico.

Indicazioni:
Più che per i fans dell'horror, per quelli del gothic e dei vampiri.

Valerio Salvi

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