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Movie Flash: Bryan Singer ci parla di "Operazione Valchiria".

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A ventotto anni già vinceva il gran premio della giuria al Sundance festival con il suo film di debutto, "Public Access". L'anno dopo firmava un cult straordinario come "I soliti sospetti", poi l'intima trasposizione di "L'allievo" di Stephen King, i primi due "X-men", e il tecnologicamente innovativo "Superman returns". Bryan Singer è uno dei registi più caratterizzanti degli anni che vanno dal '94 ad oggi. Lo abbiamo incontrato a Roma, dopo la conferenza stampa di presentazione della sua ultima fatica, "Operazione Valchiria", film che vede Tom Cruise nei panni del colonnello, Claus Von Stauffemberg, autore di un attentato fallito al fuhrer che poteva cambiare il corso della storia. A proposito del progetto, Brian Singer ci ha detto che: "E' una storia in cui un uomo si trova in un contesto a lui sgradevole, solo, contro una mentalità imperante. Quello del nazismo è un periodo storico che mi affascina molto, è presente in diversi modi in tutti i miei film. E poi, dal punto di vista della sceneggiatura, mi trovo a mio agio con film con molti personaggi. Qui Claus Von Staffemberg è il protagonista, ma assieme a lui, in seconda linea, ci sono molti uomini fondamentali e importanti per la storia, ognuno con un proprio spazio ben delimitato e imprescindibile". Sull'importanza delle locations (si è girato nella vera Berlino) afferma: "All'inizio non pensavo fosse così importante. Sono un tipo pragmatico, tengo molto in considerazione i costi di una pellicola, e se ci fosse costato meno ricostruire in studio, avrei forse cercato di fare così. Poi però, una volta sul set, mi sono reso conto di quanto mi sbagliassi, di quanto il realismo fosse fondamentale non solo per l'aspetto visivo, ma anche per l'atmosfera che doveva prevedere il film. Il primo giorno di riprese mi sono ritrovato da solo sul set, era già finita la giornata e gli altri se ne stavano andando, e stando lì ho avuto una sorta di brivido, mi si è insinuato dentro me quel pensiero di orrore e presa di coscienza che prima avevo, ma davo anche per scontato".
Che Hitler non sia morto con l'operazione Valchiria è noto a tutti, la gestione della suspanse è stata una parte molto importante del lavoro. Dice Singer: "E' stato come per "Titanic". Lì tutti sapevano che sarebbe affondata la nave, eppure il film non manca di suspanse visto che non si conoscono gli esiti dei vari personaggi, né il quando la tragedia li colpirà", che continua con un aneddoto: "Diciamo che qui è stato il contrario di "I soliti sospetti", dove l'enfasi era posta sul chi. Almeno se Tarantino verrà a vedere il mio film, non potrà succedergli quanto accadde quando andò in sala a vedere "I soliti sospetti" ed un fan che usciva dalla proiezione precedente, all'entrata gli disse nell'entusiasmo se aveva capito che Kaiser Soze era Kevin Spacey. Pensava che Tarantino avesse anche lui appena visto il film, e così glielo rovinò completamente".
Da "Operazione Valchiria" passiamo poi a parlare del Bryan Singer regista, della sua autorialità, del suo passato. A proposito del fatto che dai suoi film, da "L'allievo" a "Superman", fino ad arrivare a Operazione Valchiria", sembra emergere una sua certa fascinazione per gli eroi, Singer sottolinea che: "E' una cosa che ha probabilmente un legame con l'idea stessa di identità. Sono un figlio unico e sono stato adottato. A scuola ero un pessimo studente, quello preso di mira dai compagni, ma dentro di me pensavo di essere speciale. Questo è uno dei capisaldi dei supereroi, l'idea che il potere si nasconda nelle persone più improbabili. Ho sempre subito quindi il fascino di questi personaggi, oltretutto perché proprio per la loro grandezza, sono sempre uomini soli. Mi identifico molto in Wolverine: lui è un diverso, ma come lui, ci sono tanti mutanti. Eppure lui è anche il più solo tra i mutanti".
In conclusione la domanda che si dovrebbe porre ad ogni regista: quando ha deciso di fare questo lavoro e se ha ancora l'entusiasmo verso il cinema che si ha quando si è ragazzi e si passano le giornate a vedere film su film: "Quanto ho deciso di fare il regista avevo circa sedici anni. Da qualche anno giravo filmini in 8mm, ma era un gioco per me. Poi una sera a casa mi ritrovai a vedere un servizio su Steven Spielberg, che all'epoca aveva appena girato "ET". Anche lui aveva iniziato da giovane con gli 8mm, anche lui era stato un pessimo studente, anche lui era ebreo come me. E' stato lì che ho deciso, in quel momento. Una tappa fondamentale della mia vita, pensai che ora il 50% era fatto, e cioè il cosa fare, e rimaneva solo l'altro 50, il come. E' andata bene. Ho sempre pensato di fare cinema per il grande pubblico ed è quello che sto facendo, è per questo che probabilmente ritornerò alla fantascienza".



Andrea D'Addio
(30 gennaio 2009)

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