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Bratz
Dai giocattoli al cinema il passo è stato breve. Le "Bratz", note versioni fashion, griffate e glamour delle antiquate e soporifere Barbie solcano il grande schermo alla ricerca del successo, della bellezza, e dell’amicizia. Indossate le scarpe dai tacchi vertiginosi, spalmato l’ultimo lucidalabbra brillante Max Factor, indossato anche l’ultimo accessorio: magari cinta finta pelle rosa shocking, forse cappellino di brillantini firmato Prada, o più probabilmente serie di braccialetti ampi da ballare aritmicamente sul polso decorato con unghie finte in smalto viola spento; dunque, le quattro amiche sono pronte per la vita.
Ecco le "Bratz", prima bambole, ora ragazzine appena sedicenni stordite da moda e tv, ma con l’intento, sincero, di rimanere amiche per sempre, malgrado i circoli del liceo, le etichette della società, la famiglia, e la televisione...
La regia di Sean McNamara, noto al pubblico di giovanissimi soprattutto per aver diretto "Nata per vincere" con Hilary Duff, travolge il pubblico dalle prime scene, in cui assistiamo al risveglio mattutino delle quattro amiche che, conversando in web-cam, si preparano al primo temutissimo giorno di scuola. Ed è proprio da questa prima scena che "Bratz", tra urla e schiamazzi, dimostra di non voler solo essere un film pretestuoso quale effettivamente è, ma di elevarsi a nuovo paradigma del genere pre- adolescenziale.
Narrato con piglio divertito e a tratti grottesco – con l’inserimento di accompagnamenti musicali che rompono o si allontanano da ciò che effettivamente sta avvenendo sullo schermo – McNamara trova il giusto appeal per divertire e raccontare una storia che, bando ad inutili allarmismi sociologici, è anche specchio dell’adolescenza di oggi. Abbiamo una divisione studentesca degna del miglior lager nazista, dove ogni ragazzo è etichettato e inserito in un preciso contesto di compagnia (dai simpatici "disco-rinco" vestiti anni Settanta, ai geni della matematica, fino alle più inflazionate e sempre ammirate cheerleader); abbiamo un’attenzione alla moda e a ciò che viene mostrato vista solo in certe sfilate di grandi stilisti; c’è la televisione, in cui regna incontrastata la regina MTV con il suo programma sulle feste di compleanno delle sedicenni; e poi i telefonini che riprendono tutto meglio di una telecamera; la musica ad alto volume; e il liceo, soprattutto luogo di incontro per socializzare e farsi un nome, più che come luogo di studio e formazione culturale. Vuoto? Inconsistenza narrativa? Regia stanca? Ma no, la verità è che l’unico vero interrogativo che si pone lo spettatore adulto di fronte tale spettacolo è come siano riusciti a coinvolgere nel progetto un attore come Jon Voight, che una volta aveva una carriera, che una volta era un attore, e che pure aveva una dignità.
Per il resto è roba da ragazzine un pò rimbambite, e ragazzini confusi: anni difficili, i loro, a cui questo film non farà forse nemmeno troppo bene. Però, va detto, "Bratz" è costruito per quegli stessi ragazzini e ragazzine e sul mondo che vivono, mostrandolo in modo praticamente perfetto.
La frase: "...Ci aspettano momenti di shopping durissimo!...".
Diego Altobelli
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