007 - Skyfall
Non c’era occasione migliore dei primi 50 anni di 007 per celebrare la saga spionistica e il personaggio evergreen nato dalla penna di Fleming. Se poi per festeggiare l’imponente anniversario ci pensano un regista come Sam Mendes ("American Beauty"), un attore come Daniel Craig, un compositore come il figlio d’arte Thomas Newman e un direttore della fotografia che ha il nome di Roger Deakins ("Non è un paese per vecchi"), è facile dirlo: l’impeccabile pacchetto regalo, per i fan, si sa, non può che esibire in cima a una confezione deluxe un fiocco regale.
Il veterano agente James Bond, sulle cui performance sembra iniziare a gravare qualche segno del tempo, oltre che della modernità, rischia di perdere la vita durante una pericolosa missione in Turchia e dopo gli ordini anaffettivi dell’enigmatico capo M. Ma 007, come recitava un vecchio capitolo, non muore mai e, malgrado qualche dubbio sulla lealtà della donna che da anni lo guida e nuove cicatrici, torna in azione per difendere dalla furia vendicativa dell’ex collega e cyber-terrorista Silva la sua "bond girl" di turno e "l’imperatrice" M.
Dinamico, mozzafiato, spettacolare (senza il solito abuso di super gadget high tech) e contemporaneo nel ritmo, nei dialoghi e perfino nel nuovo profilo psicologico del protagonista, "Skyfall" è forse il miglior film del fortunato franchise britannico mai realizzato prima.
Il raffinato Mendes, che riesce a citare Hitchcock con astuta nonchalance, riesce a far rinascere dalle ceneri, che sparge con epicità dopo una delle sequenze d’inseguimento più strepitose del cinema recente, la spia che si sistema il polsino della giacca dopo una scena d’azione eccezionale umanizzandola come nessun altro autore era riuscito finora. Bond, un Daniel Craig intenso e fascinoso, non affronta solo il pericolo, mettendo a repentaglio la propria vita, per mestiere: motivato dalla lealtà e dall’etica patriottica che l’hanno sempre ispirato, adesso si confronta con l’incombere del tempo, che lo rallenta e lo vorrebbe in pensione. La combinazione dei due fattori esaspera il conflitto interiore dell’irriverente antieroe, che riemerge dalle proprie fragilità solo di fronte a uno dei cattivi più memorabili dei nostri tempi, un Javier Bardem sinistro, superbo come l’Anthony Hopkins de "Il silenzio degli innocenti", da Oscar.
La mastodontica presenza scenica e narrativa di Judi Dench, per la settima volta nel ruolo della matriarca M, sottrae spazio alla vera, più giovane e sexy, Bond Girl. Ma il suo ruolo chiave trascina dietro di sé, una donna potente per i servizi segreti (eppure non ha mai saputo sparare), quel machismo accessoriato (vedi la mitica Aston Martin) e quella vulnerabilità di Bond che fino a oggi avevano sommerso le ombre delle sue origini. E che ora vengono finalmente esplorate, a partire dai fantastici titoli di testa, nella gelida apnea di un agente abituato a scommettere solo su se stesso e puntare tutto su quello in cui ha sempre creduto.
La frase:
"Dove diavolo era finito? - A godermi la morte!".
a cura di Angela Cinicolo
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