16 febbraio 2004 - Conferenza stampa
Intervista a Giovanni Veronesi, Silvio Muccino e Violante Placido
di Valerio Salvi


Un incontro con Giovanni Veronesi, Silvio Muccino e Violante Placido ci apre gli occhi su motivazioni e meccaniche della creazione di un successo annunciato: "Che ne sarà di noi". Veronesi è il braccio esecutivo dei pensieri di Silvio Muccino, oltre che il suo collaboratore nella stesura della sceneggiatura definitiva.

Il pensiero di Veronesi sul cinema è legato allo star system e soprattutto all'importanza delle figure femminili all'interno di questo.
Giovanni Veronesi: Non sono mai gli uomini le vere star sono le donne; sono loro che fanno palpitare i cuori e sono loro che si trasformano sullo schermo.
Paul Newman una finito di girare resta Paul Newman, ma Audrey Hepburn da donna si trasforma in una sorta di musa sulla schermo, quindi alla fine sono loro le vere star fondamentali per la riuscita di un film. Io qui, ho voluto valorizzare la bellezza, sia quella estetica che quella interiore delle protagoniste. Voi vedete Viola [Violante Placido - n.d.a.] sullo schermo e c'è questa figura affascinate e sensuale mentre Silvio è sempre lo stesso… eccolo qua tale e quale.
Mi sono lasciato andare ed ho fatto questo film sull'onda delle sensazione e del momento; è passionale, caldo, coinvolgente.

Il risultato è quindi legato alla prova di Violante e della sua Carmen un personaggio anche sgradevole se vogliamo.
Violante Placido: Beh, Carmen sfrutta Matteo per vincere le sue insicurezze, per convivere con un rapporto che non gli piace e gli scarica sulle spalle le sue frustrazioni.
Si tratta di un personaggio essenzialmente negativo che il pubblico non può che condannare ed io mi sono dovuta sforzare di capire le sue motivazione per entrare in un "vestito" così scomodo e farlo mio.

La sceneggiatura è stata comunque un lavoro a quattro mani.
Silvio Muccino: In effetti io volevo fare questo film, ci tenevo molto perché volevo mettermi alla prova dopo Come te nessuno mai e volevo portare sullo schermo la mia generazione con dei personaggi veri e reali. In questo è stato importantissimo il gruppo con cui ho lavorato, amici prima che colleghi.

Le critiche più comuni a questo tipo di film sono relative al fatto che dipingono una ristretta cerchia sociale e peccano di originalità e forse è un po' vero.
Giovanni Veronesi: E' vero in parte in effetti io non posso dipingere una società che non conosco. Io conosco quella che una volta si chiamava piccola media borghesia e quella riporto sullo schermo. Non saprei mai fare un film come Trainspotting perché non conosco certi problemi. Poi c'è da dire che non si tratta certo di un thriller e non mi importa nulla che lo spettatore capisca in anticipo delle cose, perché io voglio che le capisce, sono ovvie. Però ce ne sono delle altre, come la scelta di Paolo, che sono molto meno ovvie e che sono veramente sconvolgenti.



  

Intervista a Giovanni Veronesi, Silvio Muccino e Violante Placido


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