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La prima cosa bella

Opinioni presenti: 71
Media Voto: Media Voto: 6.5 (6.5/10)

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sentimenti a piene mani

(7/10) Voto 7di 10

Attraverso tre decenni, dal 1970 ai giorni nostri, Paolo Virzì intraprende il suo viaggio nella memoria con la doppia finalità di riconciliarsi e ricordare due punti fermi per tutti noi: il luogo d’origine e la madre. Archetipi che spesso sembrano confondersi o sdoppiarsi ma con i quali si devono comunque fare i conti. A un certo punto della vita ci si trova, quasi inevitabilmente, ad affrontare questa analisi dove tutta la verità, nel bene e male, deve essere detta per liberarsi dal passato come peso o dolore e riuscire a ritrovarne anche la parte gioiosa. La maggior parte delle persone lo fa nel silenzio del suo cuore se non può più condividere con altri la propria storia popolata di luci, ombre, sofferenze, luoghi, persone. Al centro del viaggio di Virzì in se stesso è vincente la memoria di una madre giovane, bella, confusa e vitale che semina amore ma nche rancori e complessi nei due amati figli, specie nel maschio. Fino all’ultimo toccherà a lei rimescolare le carte, sposando con regolare cerimonia, poco prima della morte, il vicino di casa (l’unico che l’ha sempre amata). Inoltre con la sua levità e capacità di reazione, riporterà il figlio musone, rancoroso, senza veri affetti, a gustare finalmente la vita. Lo stesso accade per la figliola incatenata a un matrimonio senza amore, dal quale si libera nel momento in cui piange dolcemente la morte della madre Anna. Interprete di tale ruolo, nella prima parte del film, è Micaela Ramazzotti, troppo caricata nel tentativo di assomigliare alla Sandrelli giovane; nella seconda, Stefania Sandrelli, appunto, che recita se stessa. Lo scenario della città natale, Livorno, muta di forme e colori: caldi e luminosi quelli degli anni ’70, grigia e notturna l’atmosfera e la fotografia degli ’80, naturale quella di oggi. D’obbligo la colonna sonora che ci riporta a canzoni sottofondo delle estati nostrane e della vita popolare nell’Italia di allora. Alcuni piani sequenza sono da maestri della commedia all’italiana, ma purtroppo nella parte finale, come da italico copione, i toni melodrammatici, tenuti a bada fino a un certo punto, tracimano, mentre la scena si fa eccessivamente affollata di personaggi e di sentimenti. La recitazione intensa, ma non sempre calibrata al punto giusto, vede un Valerio Mastandrea surclassare gli altri per capacità di comunicazione e sintesi espressiva. Bellissime a riguardo le scene del ritorno alla città da cui era fuggito ferito e senza pace, con quella difficoltà di collocarsi in mezzo a situazioni e persone che, sulle prime, accrescono la sua inadeguatezza. Alla fine la vita che si mischia alla morte nella vecchia casa di nuovo piena di voci, mostra una famiglia “particolare” mas conciliata, senza rancori e invidie, dove ognuno sembra aver trovato il suo posto. Inutile citare Scola, Monicelli, Avati; questo è il film più personale di Virzì e quindi lasciamolo solo in questa sua “autobiografia truccata” (la definizione è la sua).



Olga, 64 anni, Perugia (PG).




deprimente

(4/10) Voto 4di 10

Sarà che ho vissuto un anno pieno di lutti familiari, ma la visione di questo film, forse bello, forse ben recitato, m'ha messo addosso una depressione che mi porterò addosso per chissà quanto. Un film dove non c'è un personaggio positivo, dove tutto va male, dove le coppie si cornificano, i figli sono infelici, i padri lontani e disperati e l'unica figura con qualcosa di vitale addosso, una ninfomane umanitaria, è una malata terminale con tanto di flebo, maschera d'ossigeno, morfina. Ora dovrò fare una cura per tirarmi su e non fare la fine del protagonista.



sebastiano, 63 anni, pistoia.




Si ride tanto, si piange tanto, ma...

(6/10) Voto 6di 10

C'è un limite (lo vado dicendo dai tempi di Ovosodo e Caterina va in città, mentre salvo per intero Tutta la vita davanti e, in parte, Feria d'agosto) che tiene lontano Virzì dai grandi registi del minimalismo italiano ed è quella sua commistione di serio e comico, realistico e grottesco, reale e surreale, (e si aggiunga l'eccesso di personaggi, intrecci e storie) che confonde lo spettatore, lo disorienta e, in fin della fiera, gli impedisce di far suo il film. "La prima cosa bella", storia di un rapporto decisamente edipico tra una mamma ed un figlio nell'arco di quarant'anni, non sfugge a questo difetto virziano. Nonostante alcune interpretazioni decisamente superlative (la Sandrelli e la Ramazzotti in primis, ma anche Mastrandrea ed un nutrito gruppo di comprimari, senza dimenticare i due bambini che interpretano Bruno e Valeria nell'infanzia) il film non trova mai la sua strada e finisce per lasciare la bocca amara, nonostante momenti di ilarità e momenti di autentica commozione. Sufficiente.



Silvano, 60 anni, Cormano (MI).




non saprei

(3/10) Voto 3di 10

Ho visto ieri questo film, con forse aspettative un pò altre. non posso dire che nn mi sia piaciuto ma, nemmeno il contrario.Non mi ha commosso, non mi ha ispirato niente di che...forse dovrei rivederlo...Bravi gli attori, adorabili i bambini che ho trovato naturali,davvero forse la cosa che mi è piaciuta di più..le espressioni dei bimbi,li ho trovati disarmanti. L.F. torino



Lorena, 55 anni, Torino (TO).




Storie vere di vita

(10/10) Voto 10di 10

Comincio con la fine . Una fine da incanto .Quel mare di Livorno, città di industrie .Un mare poco “glamour” eppure, nel film, così delicato e tenero . Virzì stavolta ha giocato duro con le emozioni . Perché saranno soprattutto quelle, le emozioni, che vi accompagneranno lentamente ad un finale da avvitamento sulla poltrona. Stento a credere che qualcuno possa resistere al calore della storia di una famiglia. Di quella famiglia. Di tutte le famiglie. La storia in fondo è semplice. Una bella mamma incerta su se stessa. Sulla voglia di un’altra vita. Le sirene delle cose sognate, che luccicano. Si lascia attrarre e sedurre da una congrega di profittatori. Un rivolo di sconfitte sconforti, fughe e nuove illusioni Ha due figli: il maggiore maschio osserva tutto e soffre, la minore, femmina, vuole solo coccole e non cerca né si chiede altro. Una piccola e comune “via crucis “ delle speranze effimere. Una normalità familiare che non avranno mai. Il maschio (V. Mastrandrea ) scappa a Milano. Fugge dalla vergogna e dalla precarietà, restando sempre un uomo incerto nei sentimenti. Torna solo per la madre, per vederne la fine e raccogliere tutte quelle cose che “si è perso “. Trova la sorella (C. Pandolfi ) sposata troppo giovane che gli rinfaccerà la fuga; il buco nel cuore che ha lasciato. Un film davvero corale, dove tutti gli attori sono stati superbi, Davvero tutti. Virzì ha diretto ogni parte con una splendida grazia. Godetevi il dialogo (verso la fine del film ) tra i due fratelli. Vi riempirà il cuore per la voglia di ricomporre i frammenti di una vita semplice eppure sublime. Nelle sale c’è anche Avatar se volete la plastica che stupisce. Se volete la vita che palpita sapete dove andare.



Mauro, 54 anni, Sanremo (IM).





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