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Notorious B.I.G.
"All’inizio Dio mi diede una vita immacolata, ma dove sono cresciuto io niente rimane immacolato".
Non poteva essere altro che la voce narrante dello stesso protagonista, incarnato sullo schermo da Jamal Woolard, ad accompagnare il resoconto su celluloide della breve vita del nero Notorious B.I.G. detto Biggie, nato a Brooklyn e destinato a sguazzare tra carceri e spaccio di droga prima di trasformarsi in uno dei miti mondiali dell’hip-hop, ucciso in seguito a un regolamento di conti tra gang il 9 marzo del 1997, in anticipo rispetto all’uscita di "Life after death", suo secondo album.
Quindi, insieme ai temi appositamente composti da Danny Elfman, sono pezzi come "Party and bullshit" e "Hypnotize" a commentare le fasi dell’esistenza di colui cui Puff Daddy dedicò "I’ll be missing you", dal legame con la madre Voletta, interpretata da Angela Bassett e impegnata a debellare un nodulo al seno, alle relazioni con più donne, tra cui la Lil Kim di Naturi Naughton e la Faith Evans di Antonique Smith.
Fino al rapporto con Tupak Shakur, con il volto di Anthony Mackie, ma senza dimenticare di porre in evidenza il modo in cui le frustrazioni del protagonista, consapevole del fatto che quello che non ti uccide ti fortifica, hanno finito per trasformarsi in rime atte a raccontare in maniera autobiografica storie divertenti, tristi e violente.
E il regista Jordan Tillman Jr, il cui breve curriculum dietro la macchina da presa annovera "Men of honor - L’onore degli uomini" con Robert De Niro e "Soul food - I sapori della vita" con Vivica A. Fox, sfrutta a dovere il buon cast – comprendente perfino Christopher Jordan Wallace, figlio nella vita reale di Notorious – nell’inscenare l’ennesima storia della cima del successo che, una volta raggiunta, lascia quale unica alternativa quella di scendere.
Alla fine, però, sebbene l’efficace montaggio per mano di Dirk Westervelt provveda a rendere decisamente godibili i non pochi minuti di visione (siamo sulle due ore), la narrazione piuttosto classica cui fa ricorso non sembra permettere al prodotto di distaccarsi molto dai seppur riusciti biopic musicali destinati al piccolo schermo.
La frase: "I ragazzi piangevano per me come se fossi Michael Jackson".
Francesco Lomuscio
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