Il cosmo sul comò
Accompagnati da una colonna sonora alla Danny Elfman, i titoli di testa richiamano inevitabilmente alla memoria un certo cinema fiabesco proto-Tim Burton, come pure il terzo segmento "Falsi prigionieri", il quale, costruito sulla trasmigrazione da un quadro all’altro dei personaggi inclusi nei ritratti di una pinacoteca, se nella cupa estetica sembra strizzare l’occhio ai film di Harry Potter, nell’idea presenta sotto certi aspetti le fattezze di una variante di "Che cosa sono le nuvole?", tassello pasoliniano con marionette umane facente parte del collettivo "Capriccio all’italiana".
Già, perché il settimo lungometraggio cinematografico – se escludiamo "Anplagghed al cinema" e consideriamo anche "Tutti gli uomini del deficiente" – interpretato dal trio comico formato da Aldo Baglio, Giovanni Storti e Giacomo Poretti, meglio conosciuti come Aldo, Giovanni e Giacomo, si struttura in quattro episodi legati tra loro da intermezzi in cui vestono i panni del maestro orientale Tsu’Nam (Giovanni) e dei suoi due discepoli Pin (Aldo) e Puk (Giacomo), intenti ad apprendere pillole d’improbabile saggezza.
Quindi, al di là del già citato fanta-racconto, il meno divertente del poker ma anche il più originale, cominciamo con le tre famiglie in partenza per le vacanze di "Milano beach", nel quale Giovanni si cimenta in un pignolo padre che tanto ricorda il Furio di "Bianco rosso e Verdone", mentre Aldo strappa buona parte delle risate grazie anche ai suoi esilaranti contrasti con la suocera interpretata dalla veterana Luciana Turina ("Vieni avanti cretino").
Poi abbiamo "L’autobus del peccato", con Aldo capellone segretamente innamorato della commessa Isabella Ragonese ("Tutta la vita davanti") e Giovanni cleptomane nella chiesa il cui parroco è Giacomo.
E quest’ultimo, sempre affiancato dai due nelle vesti di amici ed incapace di avere un figlio dalla moglie Sara D’Amario ("Caos calmo"), diventa il principale protagonista di "Temperatura basale", la cui comicità emerge in particolar modo dai personaggi di contorno, tra la vigilessa Federica Cifola ("Mai dire martedì" e molta altra tv), il dentista Raul Cremona ("La grande prugna") e, soprattutto, la grottesca dottoressa Alexandra Gastani Frinzi regalataci da una sempre grande Angela Finocchiaro ("Amore, bugie e calcetto").
Per un prodotto veloce ed assolutamente non volgare che, illuminato dalla lodevole fotografia di Agostino Castiglioni ("Commediasexy") e commentato dalle belle musiche di Paolo Silvestri ("Nelle tue mani") e Gino Marcelli (il succitato "Anplagghed al cinema"), capaci di adeguarsi in maniera positiva ad ognuna delle storie, si lascia tranquillamente guardare, pur senza generare grossi entusiasmi e correndo più volte il rischio di discontinuità tipico delle antologie su celluloide.
In ogni caso, la curata regia di Marcello Cesena ("Mari del sud"), che va a sostituire l’abituale Massimo Venier, con il suo apprezzabile tocco internazionale ci lascia tranquillamente pensare che ci troviamo dinanzi ad un cineasta da sfruttare assolutamente per una tanto desiderata ma non ancora portata a compimento rinascita di una produzione di genere nostrana.

La frase: "Ho un tenore di vita da Tronchetti Provera senza capitale e quella mi spende come Afef".

Francesco Lomuscio

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