Funeral party
Dopo anni di commedie più o meno riuscite Frank Oz, il padre dei Muppets, torna nella sua Inghilterra per un film di poco glamour, ma molto divertimento. Fin dalla prima gag, è chiaro che l’umorismo sarà il più british possibile. Si scherza sulla morte, come già lascia intuire il titolo, e la prima gag, “l’errore”, è emblematica per capire il tono di quanto seguirà.
“Mio nonno era un uomo inutile. Al suo funerale il carro funebre seguiva le altre auto”. Questa battuta di Woody Allen poteva senza dubbio far parte di “The funeral party”. Per costruire il divertimento gli autori prendono un evento (il funerale) in cui normalmente i comportamenti dei presenti sono vincolati alle regole cerimoniali, e inseriscono una serie di elementi/personaggi destabilizzanti (per certi versi è la stessa struttura di “Quattro matrimoni e un funerale”). Sono questi “rompitori di schemi” che creano la situazione comica. Un “la” che da il via al resto dei personaggi, aumentando sempre di più il ritmo in un intensificarsi di battute e sketches tra chi cerca di salvare le apparenze e chi è involontario spettatore.
Importante in tal senso è la fase di preparazione. Nel tragitto che porterà i vari personaggi al funerale vengono infatti inseriti tutte quelle informazioni che serviranno successivamente per avvicinare uno spettatore omnisciente alle problematiche dei vari personaggi. Le varie storie si incrociano, andando per accumulo e rendendo sempre più apparentemente irrisolvibile e catastrofica la situazione.
Una gestione dei tempi perfetta che anche punta molto (giustamente) sulle notevoli qualità degli attori. Interpreti non famosi (almeno a livello internazionale) che riescono ad emergere dal grande schermo mantenendosi in bilico fra serietà e paradosso. Nessuno è davvero macchietta, tutti a loro modo si districano nei diversi registri narrativi che offre il film, offrendo sempre qualche spunto riflessivo oltre al sorriso. Ne esce fuori un film che ad alcuni farà ridere fino alle lacrime, ad altri quantomeno divertirà abbastanza da non far rimpiangere il costo del biglietto. Il che non è male.

La frase: "Perché le mie mani sono così grandi?".

Andrea D’Addio

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