Departures
"Questo violoncello non ha colpe, è stato comprato da un perdente come me, per questo ha perso il suo lavoro".
Questa è una delle frasi che aprono la vicenda del giovane Daigo Kobayashi (Masahiro Motoki), il quale, abbandonata una carriera nel campo della musica e trasferitosi con la moglie Mika (Ryoko Hirosue) in campagna, nella prefettura di Yamagata, si ritrova a insaputa della donna a lavorare per un’agenzia addetta alla preparazione cerimoniale delle salme prima della cremazione.
Da qui, forte di un cast in ottima forma, il prolifico regista giapponese Yôjirô Takita, autore, tra l’altro, di "Yin yang master" (2001) e del suo sequel "Onmyoji 2" (2003), da un lato sviluppa il rapporto tra Sasaki (Tsutomu Yamazaki), proprietario dell’agenzia, e il protagonista, orfano di madre e abbandonato dal padre quando era bambino, dall’altro quello con la compagna, che lo lascia improvvisamente solo per tornare a Tokyo.
Perché, tra preparazioni al viaggio verso l’aldilà e cadaveri che spaziano da un travestito suicida a un’adolescenza interrotta da un incidente stradale, è prima di tutto una storia di solitudine quella che il regista racconta attraverso lenti ritmi di narrazione tipicamente orientali.
Una storia di solitudine che, conferendo non poca importanza al tema della separazione dei figli dai propri genitori, tenta in particolar modo di ribadire l’importanza d’imparare ad apprezzare e godere maggiormente un dono prezioso come la vita.
E, su una sceneggiatura a firma del televisivo Kundo Koyama, che riserva diversi colpi di scena soprattutto nella seconda parte, lo fa senza dimenticare mai di ricorrere all’ironia; pur ponendo al primo posto il classico senso poetico della cultura dagli occhi a mandorla, qui accentuato anche grazie alla colonna sonora di Joe Hisaishi ("Ponyo sulla scogliera").
Anche se qualche minuto in meno avrebbe giovato ancora di più a "Okuribito" (come s’intitola in patria il lungometraggio), aggiudicatosi comunque il premio Oscar per il miglior film straniero.

La frase: "Tutte le coppie prima o poi vengono divise dalla morte; per chi rimane è un grande dolore".

Francesco Lomuscio

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