Brooklyn's Finest
Dopo il successo di "Training Day", che è valso l’Oscar a Denzel Washington, il regista Antoine Fuqua torna a parlarci della difficile esistenza dei poliziotti che operano nei sobborghi delle metropoli americane.
"Brooklyn’s Finest", infatti, racconta le storie di tre agenti che combattono contro i propri demoni, più pericolosi del crimine che cercano di debellare. I tre uomini non si conoscono, vivono vite separate in distretti diversi, ciò che li accomuna è l’odio che hanno per se stessi e per ciò che è diventata la loro esistenza.
Richard Gere interpreta il più anziano dei tre, Eddie, prossimo alla pensione. La sua vita, così come il suo stato di servizio non presentano avvenimenti degni di nota, ha alle spalle un matrimonio andato male e gli unici momenti emozionanti che vive sono quelli in compagnia di una prostituta cui si è ormai affezionato. Il protagonista di "Pretty Woman" e "Ufficiale e Gentiluomo", si cala perfettamente nel ruolo del poliziotto stanco e disilluso, che spera solo che le giornate passino tranquille fino al giorno della pensione, come se questo dovesse cambiargli la vita e dargli un po’ di brio.
Il secondo poliziotto, Tango, ha passato gli ultimi tre anni sotto copertura, diventando quasi parte del mondo che cerca di aggredire dall’interno, ma l’unica cosa che spera è solo quella di tornare alla sua vita, anche se forse non ricorda più qual è. Don Cheadle, ("Crash – Contatto Fisico", "Hotel Rwanda"), è perfetto nel suo ruolo, l’eterno conflitto interiore tra male e bene lo si legge nei suoi sguardi quando è costretto a comportarsi come un gangster.
Dopo "Training Day" Fuqua ha voluto tornare a lavorare con Ethan Hawke, e Sal era il personaggio adatto a lui. Sposato e con cinque figli, l’unica cosa che vuole è occuparsi della sua famiglia nel modo migliore, ma lo stipendio da poliziotto non l’aiuta di certo.
Lavorando per la narcotici viene spesso a contatto con i soldi dei trafficanti, requisiti durante le retate, e la tentazione di prelevare un po’ di contante da tutto quel ben di Dio si trasforma presto in azione.
Altra protagonista è Brooklyn nella sua parte più orientale, dove palazzi e complessi abitativi di edilizia popolare sono l’elemento scenografico dominante. Ferro e cemento sono l’unico punto fermo di una parte della popolazione che vive del minimo sindacale o di espedienti, e dove il tasso di criminalità alto, ma dove i valori dell’amicizia e della famiglia sono più importanti di qualsiasi altra cosa.
La sceneggiatura scritta da Michael C. Martin, al suo debutto in questo film, è ben studiata: articolata su tre fronti, ci racconta di uomini più che di poliziotti, descrivendoci una realtà urbana, che già conosciamo e che abbiamo visto sia sul grande che sul piccolo schermo. Il film poliziesco, inoltre, è per definizione un film d’azione, ma in "Brooklyn’s Finest", troppo ci si attarda sulla descrizione dei personaggi, rallentando ritmi e tempi, peraltro anche troppo lunghi: avremmo, infatti, fatto a meno volentieri di almeno 50 minuti di pellicola. Spesso poi il montaggio crea dei vuoti narrativi che saltano subito all’occhio, pur rifacendosi nella scena in cui i tre poliziotti si incontrano, tutt’e tre insieme per l’unica volta in tutto il film.
Tutti gli elementi per creare un film avvincente e coinvolgente ci sono, il cast, la regia, la sceneggiatura, perfino la cornice dell’east New York che fa da sfondo, ma per quanto si possa ammirare l’impegno e ci si affezioni a quei tre poveri diavoli che speriamo riescano a risolvere i loro problemi, il risultato non ci da molte soddisfazioni, e a tratti rischia di annoiarci, cosa che non ci aspetteremo mai da un film di questa categoria.

La frase: "Dai retta a me non è stato Giuliani a ripulire le strade, ma la TV e i Videogame".

Monica Cabras

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