03 Settembre 2006 - Conferenza Stampa
"I figli degli uomini"
Intervista al regista e al cast.
di FilmUP.com


Sono presenti: Alfonso Cuaròn, il regista, Clive Owen, attore principale, C.H. Ashitey, attrice protagonista, Timothy Sexton, sceneggiatore. Ad inizio conferenza Cuaròn dichiara: "Quella presentata in questo film è una visione molto realistica. La UIP ha capito subito di cosa si trattava. Hanno corso con me un po' alla cieca. Hanno avuto fiducia in me sempre, anche quando avevo torto. Sono loro veramente riconoscente per il loro supporto."

La cosa più difficile...
Clive Owen: Probabilmente interpretare il ruolo di un protagonista che è esattamente all'opposto dell'eroe convenzionale. Normalmente il personaggio principale dopo un determinato momento si trasforma nell'eroe della storia e salva il mondo. Theo invece è molto distaccato, è passivo, se fosse dipeso da lui non sarebbe nella trama, e questo lo rende veramente un protagonista inusuale. E' stato difficile interpretare la sua riluttanza e il suo modo di agire, che è solo sempre di reazione a cose che gli piovono addosso.
C.H. Ashitey: Io sono nuova a questo mondo, per me tutto era difficile. Non era tanto la caratterizzazione psicologica che mi preoccupava, perchè il carattere del personaggio era ben definito nella sceneggiatura, ma la prestazione fisica. Per me era molto difficile capire come si può sentire una donna incinta che deve attraversare queste vicissitudini, perché io non ho mai avuto una gravidanza nella vita reale. E' stato complesso, ma tutti mi hanno aiutato, soprattutto naturalmente le donne.

Come è nata la scelta della musica?
Alfonso Cuaròn: In qualche modo già la sceneggiatura suggeriva questa musica. L'abbiamo ascoltata mentre lavoravamo e poi l'abbiamo adottata. In realtà non volevamo un film basato sulla musica e nella scelta di questi brani siamo stati supportati dal consulente musicale naturalmente.

Sul legame con la fantascienza...
Alfonso Cuaròn: Non volevamo realizzare un film di fantascienza. Volevamo ambientarlo nel presente. Quello che volevamo era farvi capire cosa sta succedendo davanti ai vostri occhi. Anzi, avevo delle immagini della Somalia e del Pakistan che volevo usare…

Sulla violenza...
Alfonso Cuaròn: Non volevamo esaltare la violenza. Per questo il protagonista non porta mai la pistola. E l'unica volta che uccide lo fa in modo decisamente non spettacolare e solo per puro istinto di sopravvivenza.

Come è nata l'idea del film?
Alfonso Cuaròn: Abbiamo avuto questa idea in un piccolo appartamento di Londra in inverno. E chiunque la conosca sa che a Londra d'inverno è facile immaginare la fine del mondo.

I personaggi fuggono su una macchina che non parte; che significato ha questa scelta?
Alfonso Cuaròn: La macchina che non parte è stata voluta per dare l'idea della dimensione umana della storia, lavorando con un personaggio le cui capacità sono limitate; lui non è mai in grado, perché non ha la possibilità, di fare tutto quello che deve e vuole fare, e questo si riflette nel corso del film in vari elementi, come il fatto che per scappare indossa delle flip flop…
Clive Owen: Questo film esce dagli schemi usuali in cui l'attore è sulla scena e lo si riprende mentre fa delle cose che spiegano il film. Alfonso non è il tipo di regista che decide un ruolo e ti dice come interpretarlo. Lui crea un ambiente, una storia e ti mostra nel mezzo di un'azione. Per questo diventa un'esperienza più cinematica.

Sui temi del film e il suo rapporto con i bambini.
Alfonso Cuaròn: Il film parla della speranza e di come la speranza sia nei bambini. Mostra anche come l'ideologia impedisce la comunicazione tra le persone. L'ideologia è diventata una fede e questo è un problema.

Perchè il sangue sulla telecamera?
Alfonso Cuaròn: Non era un effetto che avevamo programmato. Ci sono scene che impieghi 10-11 giorni a girare, perchè non trovi la telecamera o l'inquadratura giusta. Quel giorno dopo tantissime prove la scena era stata girata come volevamo, e mentre effettuavamo le riprese guardando il monitor ho visto che si era macchiato di sangue. Non ho voluto interrompere le riprese perchè stavano venendo come volevo e non intendevo ricominciare di nuovo. Poi il direttore della fotografia se ne è accorto e mi ha detto che invece era fantastico, per cui ho deciso di lasciare il tutto come era.
Timothy Sexton: Abbiamo cercato di presentare questo nostro mondo immaginato senza avere dei personaggi a spiegare la storia. Abbiamo creato un mondo pesante, con una visione molto cruda. Ma non solo i poveri ad essere scollegati dal mondo oggi; gli scandinavi sono scollegati a loro modo e sono fra i popoli più ricchi del pianeta.
Alfonso Cuaròn: Per questo abbiamo incluso gli Europei nel campo dei rifugiati, per dare questa idea. Quello che volevamo far capire è che quello che vedete nel film è la realtà: spesso dimentichiamo che siamo privilegiati e che viviamo in una bolla di comfort, mentre la maggior parte delle popolazioni del mondo vivono in queste condizioni. Ed è molto simbolico che l'unica donna in grado di partorire è un'immigrata africana, non una donna occidentale piena di glamour.

Qual'è il significato della figura di Michael Caine?
Alfonso Cuaròn: Con Michael Caine abbiamo guardato il copione e ipotizzato una data del futuro in cui quella storia poteva essere possibile, e abbiamo scelto il 202.. Poi abbiamo identificato i temi che sarebbero stati al centro del film, e siamo giunti alla conlusione che l'immigrazione era uno dei problemi principali. Poi con Timothy abbiamo creato uno spazio temporale. Clive ai giorni nostri avrebbe 20 anni, sarebbe un attivista e frequenterebbe i centri sociali. La storia avviene 20 anni dopo. Michale Caine anche era un attivista, ma negli anni 60/70. La sua casa è un paradiso nascosto in mezzo alla follia, dove si può fruire della natura e della cultura del passato.

Riferimenti alla Bibbia?
Alfonso Cuaròn: Nel libro di PD James ci sono riferimenti biblici. Noi abbiamo cercato di tenerci lontano da questi riferimenti religiosi, ma è impossibile per noi occidentali prescindere completamente dall'identificazione di alcuni simboli della cultura cristiana. Si tratta di archetipi: certe raffigurazioni fanno profondamente parte della nostra cultura, ed è normale collegare certi elementi alla sacre scritture.

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