Sette anime
“In sette giorni Dio ha creato il mondo, in sette secondi io ho distrutto il mio”.
A due anni da "La ricerca della felicità" (2006), così apre il secondo sodalizio artistico tra la star di colore Will Smith e il nostro Gabriele Muccino, nel quale il protagonista di "Io sono leggenda" (2007) concede anima e corpo a Ben Thomas, in cerca di redenzione cambiando drasticamente l’esistenza di sette estranei bisognosi ognuno di un diverso tipo di aiuto, senza immaginare di perdere la testa per la cardiopatica Emily Posa, con le splendide fattezze della Rosario Dawson di "Sin city" (2005).
Come vuole la tradizione mucciniana, quindi, già durante i primi minuti di visione, nel corso di una conversazione telefonica con il sempre grande Woody "Non è un paese per vecchi" Harrelson, che interpreta un non vedente, il personaggio di Smith non manca di apparire nevrotico.
Purtroppo, però, il frenetico e coinvolgente stile registico di colui che ci ha regalato veri e propri gioiellini del calibro di "Come te nessuno mai" (1999) e "Ricordati di me" (2003) sembra essere a tratti riconoscibile soltanto nella parte finale dell’elaborato, quando, stremati dalla noia, confermiamo di aver appreso in che modo sia andata sprecata la ghiotta occasione di fornire un’interessante riflessione su celluloide relativa ai legami tra vita, morte e grande potere dell’amore altruista.
In mezzo all’abbondanza d’immagini da spot pubblicitario indirizzato alle famiglie e tanto sdolcinate quanto ruffiane situazioni sentimentali degne dei peggiori Richard Gere e Julia Roberts, infatti, l’idea di partenza alla Frank Capra finisce per essere soffocata da un ritmo narrativo e un look generale che non faticano a rendere l’insieme simile a un telefilm a stelle e strisce degli Anni Settanta; complice di sicuro la sceneggiatura a firma del Grant Nieporte che, tra "Sabrina-Vita da strega" e "8 semplici regole... per uscire con mia figlia", sfoggia un curriculum legato in maniera esclusiva all’universo del piccolo schermo.
Sceneggiatura talmente pessima da rendere scontato fin dall’inizio il significativo e giusto epilogo (per altro simile a quello di "Awake-Anestesia cosciente", diretto un anno prima da Joby Harold), oltre a porre il film in contrasto con il proprio titolo, rischiando di farlo apparire privo di anima alcuna.

La frase:
- "C’è stato un suicidio"
- "Chi è la vittima?"
- "Io"

Francesco Lomuscio

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