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Il ritorno

Opinioni presenti: 44
Media Voto: Media Voto: 7.5 (7.5/10)

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Il silenzio, chiave del mistero

(9/10) Voto 9di 10

Quando un film mi piace so dire quasi subito il perchè. Per questo invece ho dovuto aspettare un po'. Come uno che ha avuto un'emozione fortissima ed ha dovuto prendersi tempo per rielaborarla. Sì, la posta in gioco è troppo intensa, è un nucleo primigenio fatto di rapporti genitoriali, filiali, l'odio, l'amore, da dove veniamo, dove andiamo, chi siamo. E siccome tutto questo è mistero, la cifra fondamentale del film è appunto il mistero. Non escluderei in questo senso la chiave religiosa, anche se non in modo così esplicito come chi ha visto nel padre Gesù. Ma piuttosto come mistero dell'uomo che rimanda a qualcos'altro. Non per nulla una delle suggestioni del film è l'alternarsi alto-basso (all'inizio ed alla fine).Vorrei dire a chi si è annoiato: imparate dal film l'arte del silenzio, praticatela ogni tanto in questo mondo dai rumori (e dalle immagini) così assordanti - da cui per un paio d'ore Zvyagintsev ci fa uscire. E poi provate a rivederlo.



Marilena, 52 anni, Catania.




Essenziale e convincente...

(9/10) Voto 9di 10

Forse un film non può narrare storie di vita vissuta, fin troppo? Forse deve dire tutto? Non è possibile lasciare spazio all'immaginazione di ogni fruitore, facendo sì che si facciano largo nella visione di ognuno innumerevoli opinioni su ciò che con le immagini ci è stato raccontato? Beh in questo sicuramente il nostro regista dal nome pressoché impronunciabile è stato un maestro, sicuramente chi ama la purezza dell'immagine scevra da qualsivoglia effetto speciale e spettacolare e da qualunque espediente volto a impressionare o commuovere a tutti i costi lo spettatore avrà apprezzato o apprezzerà l'opera prima del vincitore del Leone d'oro 2003. Intanto non sono d'accordo con chi ha gridato allo scandalo (forse per questioni campanilistiche e patriottistiche) per la mancata assegnazione del pur ottimo film di Bellocchio su Aldo Moro che ha coinciso con la meritata affermazione dello sconosciuto cineasta dell'ex Unione Sovietica. Poi devo dire che ho avuto un forte moto di commozione quando dopo aver visto il film in dvd ieri sera ho letto della prematura morte di uno dei due ragazzi protagonisti, dopo la fine delle riprese...avevo ammirato veramente il pathos con cui i due bravi attori fornivano una prova di alta recitazione, nonché la altrettanto splendida interpretazione del padre. Inquadrando i personaggi centrali cerchiamo di leggere il film. La madre, affettuosa e premurosa col piccolo Ivan, remissiva nei confronti del marito tornato dopo un'assenza di 12 anni, ne nasconde l'identità e il perché di un allontanamento così lungo; non so per quale motivo compare poco nel film...piuttosto me ne rammarico perché è una gran bella donna...:-))) Il padre, forte, apparentemente sicuro di sé, ricco, duro con i figli che vorrebbe diventassero duri come lui forgiandosi così al mondo, imparando le regole del vivere comune nonché il modo di comportarsi in situazioni di emergenza (molto frequenti durante il lungometraggio), diventa alla fine un esempio di sacrificio e di amore nei confronti del figlio minore, come non lo aveva mai dimostrato lungo tutto il viaggio. Andrej, fratello maggiore educato ed obbediente ai voleri del genitore quasi dispotico, apparentemente meno perspicace di suo fratello minore anche se più scherzoso, nel finale dimostra veramente un attaccamento alla famiglia (in quel caso nella persona di Ivan) e uno spirito di sacrificio non comuni. Infine Ivan, il fratello piccolo, che all'inizio del film mostra insofferenza agli sfottò dei compagni, che a tutti i costi non vuole abbassare la testa, mostrando la stessa insofferenza agli ordini del papà, che prima timidamente lascia trasparire propositi di vendetta comunicati ad Andrej, poi si sfoga nella voglia di liberarsi di suo padre, del viaggio, dell'isola e forse della sua stessa vita ma soprattutto di dimostrare a quello che per lui è tutto il mondo (ridotto in quel momento a 2 persone) il suo coraggio, mostra pentimento e dolore che non aveva riconosciuto prima in sé.



Francesco, 34 anni, Roma (RM).




mah...

(3/10) Voto 3di 10

bravi i giovani attori e stupendi gli scorci di paesaggi immortalati. ma non basta a fare un film e mi sto ancora chiedendo come abbia fatto a vincere il leone d'oro a venezia.



Lele, 23 anni, Foggia.




quando la forma oscura i contenuti

(7/10) Voto 7di 10

Il ritorno e' il tipico film che mai inizia e mai finisce. Tende ad assottigliare i confini tra la finzione e la artificialita' dell'arte cinematografica. Proprio perche' non ha nulla di apparentemente artificiale. Non vengono mai proposte sorprese che sconvolgano lo spettatore e quando il regista decide di farlo lo fa sul serio, senza ricorrere ad alcun effetto cuscinetto. La caduta del padre dalla torre avviene in tempo reale. Lo spavento non ha nulla di fantascientifico, di filmico. La morte veste i panni dell'orrore, del trauma, dello sgomento, come e' solita fare abitualmente nella quotidianeita'. Le riprese sono volutamente lente, si soffermano sui particolari e i silenzi riescono a diventare perfino assordanti. Lo spettatore s'immerge nel film, o in un certo qual modo e' il film a riversarsi nelle sale cinematografiche, nei salotti. E' curata bene la fotografia. Questo fa si che l'attenzione di chi osserva ricada sul tipo di sensazioni che il regista riesce a farci provare piuttosto che sul messaggio che vuole veicolare. Noioso quanto ben fatto. Enigmatico quanto apparentemente lacunoso nella trama. E' evidente l'abilita' del regista nel riempire la storia di aspetti misteriosi, al punto tale da disorientare il pubblico. Cosa conterra' quella piccola scatola ancora sporca di terra? Lo spettatore viene improvvisamente posto al di sopra dei due figli ignari. Veniamo a conoscenza dell'esistenza di quell'oggetto prima dei due poveri malcapitati, per poi essere abbandonati, a fine film, inconsapevolmente. Questo fa si che il film non finisca mai. Che noi diventiamo partecipi di un segreto mai rivelato. Ogni parte ha un segreto. La madre non spiega ai propri figli l'identita' del loro padre. I figli non le riferiscono l'accaduto. Il padre non spiega il perche' dei suoi burberi comportamenti. E noi, grazie all'indiscreta camera da presa, veniamo a sapere dell'esistenza della scatola sotterata. Il regista, coi suoi fili, riesce quindi a giocare con la trama e a scambiare i ruoli di spettatore e attore, realta' e finzione regalandoci infine un film con un carattere unico. I complimenti vanno anche a colui che ha dato vita ai meravigliosi paesaggi ripresi nel nord della russia. Senza quel gran palcoscenico tutto sarebbe stato molto piu' anonimo.



Ugo, 22 anni, Perugia (PG).




Come è difficile essere padri (e figli)

(9/10) Voto 9di 10

Molti hanno apprezzato il film per la fotografia, pochi per la storia, un film effettivamente difficile e di poche parole. Molti commenti hanno messo a fuoco, e bene, le metafore, le simmetrie e le intenzioni che il regista, con un linguaggio, certamente non abituale per un pubblico viziato da film americani e televisivi, vuole comunicarci. Vorrei parlare del rapporto tra padre e figli che mi sembra centrale. Questo padre duro, antipatico, si fa quasi odiare ma l’autore ce lo rappresenta con una immagine che suscita pietà come il Cristo di Mantenga, da vivo e da morto. Ancora e non a caso, il regista non ce lo fa mai vedere in fotografia, tranne che nell’ultima scena in una foto di dodici anni prima. La fotografia è la rappresentazione di quello che il fotografo vuole riprendere e guarda caso il fotografo è il figlio maggiore ed il padre non c'era mai nel viaggio. Insomma il regista, con l’esito finale della morte, vuole (forse) restituire al padre la dignità e il rispetto che merita, che nemmeno la lontananza di dodici lunghi anni, il RITORNO a casa ed una gita insieme ai figli hanno potuto dargli. Ed i figli, (certamente) se ne rendono conto dopo la morte, cambiando totalmente atteggiamento. Quella che doveva essere una gita si è trasformata in un viaggio ed in una involontaria tragedia, perché il padre aveva fretta di recuperare il tempo perduto, il rapporto e gli insegnamenti ai propri ragazzi, ma vuole perseguire questo risultato senza rinunciare allo scopo del suo VIAGGIO e senza metterli a parte. Ha fatto bene? Era giustificato trattare i propri figli così? O forse voleva solo che non diventassero suoi complici?



Giuseppe, 55 anni, Milano (MI).





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