Non essere cattivo
Uno dei più bei, se non il più bel film della 72 esima Mostra d’Arte Cinematografica Internazionale di Venezia è “Non essere cattivo” di Massimo Caligari, regista italiano tragicamente scomparso lo scorso 26 maggio all’età di 67 anni. Nel corso della sua carriera ha saputo raccontare il mondo della droga e la malavita come pochi altri autori, prima con diversi documentari e poi con i suoi due primi lungometraggi “Amore Tossico” e “L’odore della notte”.
Il canto del cigno dell’autore di Arona è un film diretto, ambientato nella Ostia del 1995 e racconta la storia di due ragazzi più che fratelli, Vittorio e Cesare. Il primo è interpretato dal Luca Marinelli visto anche ne “La Grande Bellezza”e, soprattutto, “La Solitudine dei numeri primi”, mentre Alessandro Borghi presta il volto al secondo protagonista.
Caligari non realizza un film per accattivarsi la critica o con i soliti cliché visti e rivisti, ma una terribile fotografia dell’attuale situazione che stiamo vivendo in alcune zone della Capitale. In 10 anni ben poco e cambiato rispetto al rituale di droga, spaccio, alcol e violenza in cui vivevano Vittorio, Cesare e il resto della loro band.
“Non essere cattivo” riesce a raccontare attraverso le risate dei drammi incredibili, quasi come se nessuno fosse effettivamente un cattivo e il modo di operare di questi ragazzi fosse “normale”. Vittorio decide di dire basta a questa spirale distruttiva quando incontra Linda (Roberta Mattei) e il figlio Tommasino (Andrea Orano) e decide di mettere su una vera famiglia con loro basata sulla legalità. Le difficoltà sono molteplici, come trovare un lavoro onesto. La prima svolta è l’impiego da manovale, in cui coinvolge anche Cesare, che nel frattempo si è fidanzato con Viviana (Silvia D’Amico). L’amico è l’altra faccia della medaglia di Vittorio: odia il lavoro e l’autorità e vuole soltanto i soldi facili e, infatti, ben presto il cantiere torna a stargli stretto.
Caligari ci fa vivere tutte le emozioni intime dei personaggi e i conflitti dilanianti che si trovano a vivere a causa della dipendenza e dell’onnipresente presenza nelle loro vite dello spettro della polvere bianca.
Il compianto regista più che di un nuovo “Amore Tossico” ha parlato di un nuovo “Mean Streets” e il paragone dato l’eccellente risultato non è un’eresia. La contrapposizione tra la rudezza delle immagini e i gesti intimi dei protagonisti Caligari accompagna una sceneggiatura solidissima, dove il cast sembra quasi una grande orchestra con ognuno che sa quando e come entrare in scena. Caligari riesce a combinare il dramma con la commedia creando un mix ideale per lo spettatore.
Il film rifiuta di innalzarsi ad insegnamento filosofici contro la società attuale, ma si limita a raccontarla nella propria disarmante e tragica assurdità: può il lavoro essere un cancro nelle periferie? Può la cocaina essere l’unica strada percorribile con una preoccupante rassegnazione? L’Ostia che racconta Caligari, forse, è ancora li e la riflessione a cui ci invita “Non essere cattivo” è riassumibile in un gesto di Debora, la piccola nipotina gravemente malata di Cesare: la bambina lascia allo zio un peluche con la scritta omonima al titolo del film, come a ricordargli che anche nei vicoli più oscuri di Borgata ci può essere la forza di ricominciare.
Il realismo con cui il regista riesce a raccontare la storia di Vittorio e Cesare è quasi una poesia in immagini e dialoghi.
L’ultima opera di uno dei grandi autori minori del cinema autoriale italiano è un lascito incredibile, con la speranza che nei vicoli di Ostia il lavoro che si respirerà in futuro non sarà soltanto quello della cocaina. Il rammarico più grande è che quello che voleva essere un omaggio postumo a Claudio Caligari si è trasformato in un’acclamatissima proiezione, che meritava la selezione in concorso per il “Leone D’Oro”.
La frase:
"Lo senti questo? Questo è l’odore del lavoro".
a cura di Thomas Cardinali
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