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Loro di NapoliLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato14 giugno 2016Voto: 7.0
Loro di Napoli è il documentario di Pierfrancesco Li Donni, il quale racconta - attraverso le vite dei protagonisti Adam, Lello e Maxime - la nascita dell'Afro-Napoli United (nel 2009), una squadra di migranti provenienti dall'Africa e dal Sud America, composta da italiani di seconda generazione e napoletani. Adam è un ragazzo che cerca lavoro, ma - nonostante le difficoltà nel trovarlo - persegue la sua passione per il calcio, così come Lello - il quale non ha la residenza italiana e vive lontano dal figlio e dalla compagna - e Maxime, che non vede la madre da ben sette anni ed è alla contante ricerca di un’occupazione. Il mister della squadra vorrebbe partecipare al campionato calcistico di terza categoria della Federazione, ma raggiungere l’obiettivo non sarà semplice. La legge italiana, infatti, ostacolerà il loro cammino in quanto esistono delle procedure legali che permettono solo ai residenti in Italia di poter giocare in campionato e, come è facile comprendere, non tutti i calciatori possiedono la residenza italiana pur avendo il permesso di soggiorno.
La pellicola, interamente narrata attraverso il dialetto napoletano, rappresenta un vero e proprio spaccato della realtà in cui molti immigrati, non solo a Napoli, si trovano catapultati senza volerlo. Lo spettatore assiste a un susseguirsi di scene che si alternano tra i duri allenamenti di calcio dell'Afro-Napoli United e la vita privata dei vari giocatori coinvolti, ognuno con i suoi problemi e senza la possibilità di poter dimostrare le proprie capacità in campionato. Il regista è riuscito a rendere al meglio il soggetto della storia, utilizzando inquadrature in primo piano e campi totali in grado di far sentire il pubblico vicino alle vicende di ogni singolo giocatore. La regia quindi non delude, anche se determinati stacchi di scena risultano troppo repentini e improvvisi, privando del giusto peso alcuni momenti focali del documentario. La sceneggiatura non è da meno, in quanto il più delle volte lo spettatore sembra trovarsi di fronte a un botta-risposta continuo. Questo è un aspetto caratterizzante del lavoro di Li Donni, ma a colpire in senso positivo sono i monologhi con cui il mister cerca di caricare il più possibile i suoi giocatori e di spiegargli cosa è giusto e cosa è sbagliato. I suoi discorsi sono ricchi di pathos, di passione, di amore per dei ragazzi che lui vede quasi come suoi figli e ai quali - è palese - vuole un bene sconfinato, come se fossero una vera famiglia. Ciò non traspare solo dalle parole e dal modo in cui si rivolge a loro, ma anche dalla mimica facciale, da quei sorrisi che colpiscono il cuore dello spettatore. Quest’ultimo, infatti, si rende conto, guardandolo semplicemente negli occhi, che egli vuole solo la felicità dei suoi ragazzi, sia che la trovino in campionato o nella sfera privata. Ma non solo, perchè egli riesce ad insegnare ai ragazzi come vivere al meglio la propria vita, senza lasciarsi rovinare dai vizi che popolano la nostra società. Poco incisivi sono stati Adam, Lello e Maxime. Senza nulla togliere al loro talento in campo, donano poche emozioni agli occhi di chi guarda, anche se alcuni momenti - sarà per i temi trattati - godono di una menzione particolare. Tra questi, le lettere che Maxime scrive alla madre e che vengono letti dalla voce francese in fuoricampo del giocatore stesso (un’idea che ci è piaciuta, anche se non è nulla di nuovo). Il documentario, che vuole essere una sorta di denuncia sociale verso lo stato italiano e le sue leggi, è ricco di temi importanti: oltre a farci capire come lo sport può aiutare a cambiare la nostra vita, attraverso le regole proprie del calcio (in questo caso), permette di comprendere quanto un sogno sia difficile da realizzare, ma non impossibile. Con forza di volontà e impegno la strada diventa sempre meno tortuosa. Il progetto, che mette in luce la voglia di continuare a vivere e di sperare in un futuro migliore, è consigliabile a un pubblico adulto, sia per i temi presenti (droga, contraffazione, residenza, mancanza degli affetti familiari, tra i tanti) e sia per la struttura della storia stessa. La frase dal film:
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