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Il riccio
Una distinzione di campo in termini. Ma sebbene il titolo della trasposizione cinematografica si riduca al solo animaletto, "L'Eleganza del riccio" (il libro-caso editoriale di Barbery Muriel) è comunque tutta nel film, fin dall'ambientazione in un palazzo Art Noveau creato in studio come emblematico contenitore d'un'altra epoca, misterioso, magico e poetico, giusto abbinamento con personaggi contraddistinti dalla raffinatezza di modi e battute, di arredamenti di cui si circondano, di cultura che hanno e opere che fanno.
Sintetizzate le differenze oriente/occidente nella filosofia di gioco degli scacchi e del "go" (rispetto all'atteggiamento verso l'avversario), la varia umanità dell'esordiente Mona Achache ha pure altri punti di condivisione. I tre personaggi centrali sono infatti accomunati dai gatti che tengono in casa, il galante e la portinaia si capiscono attraverso le citazioni e i nomi dati ai propri felini (dal romanzo "Anna Karenina"), le due figure femminili tendono a nascondersi agli altri, se l'uomo viene dal Sol Levante la ragazzina studia il giapponese, e i disegni con cui si diletta - che prendono anche corpo in chicche di inserti d'animazione – sono tratteggiati con un pennarello nero morbido che richiama la calligrafia nipponica a pittura.
Al di là delle apparenze, la banalità di un ruolo può riservare sorprese (una biblioteca in casa così come una riserva di cioccolato in frigo), mentre la dodicenne protagonista, convinta dell'insensatezza e dell'assurdità della vita, nonostante si impegni in prove di suicidio è però mossa da fantasia, curiosità e attenzione che la portano sia a filmare con una vecchia macchina da presa che a riprodurre su carta le persone attorno a lei. E frequentando quelle che sente più affini cambia la sua idea della morte ("non rivedrete più quelli che amate e coloro che vi amano, è la tragedia che si dice"), all'interno di una programmata fiaba dall'accurata confezione estetica di classe tenuta in ordine da una sinfonia di oggetti e dalla precisa cadenza degli eventi.
La frase: "La destinazione finale è la boccia dei pesci. Una cosa è certa: io lì non ci vado. Il mio Everest è fare un film che mostri che la vita è assurda".
Federico Raponi
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© Pathe Distribution
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