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La giusta distanza
A vent’anni dal suo esordio con “Notti bianche,” con cui si segnalò subito come uno dei registi più promettenti dell’epoca (vinse un Ciak doro e un Nastro d’argento), Carlo Mazzacurati ritorna al noir ambientato nel suo Veneto. Una catalogazione di genere che in verità è un po’ impropria, “La giusta distanza” è infatti un film che si potrebbe definire corale sia per la varietà dei protagonisti (il ragazzo giornalista, la giovane insegnante e il meccanico tunisino) che per i diversi registri narrativi adottati (commedia, storia d’amore, thriller-noir).
Come nel recente “La ragazza del Lago” di Andrea Molaioli presentato un mese prima al Festival di Venezia (“La giusta distanza” è invece presentato a quello di Roma), anche qui lo sfondo della vicenda è un piccolo paese del Nordest. L’incipit da cui parte Mazzacurati è quello dello “straniero”: una donna affascinante che attira gli occhi degli uomini e la gelosia delle donne. Il punto di vista sembra essere fin da subito quello di Giovanni, il diciottenne aspirante cronista: non solo il titolo (come la citazione a fine recensione chiarisce) è riferito al suo personaggio, ma è sua la voce fuori campo che introduce il racconto ed è lui che dopo poche scene “ruba” la password della casella e-mail alla neovenuta, riuscendo così a leggerne tutti i pensieri. Premesse che dovrebbero fare di lui il filtro tra realtà e spettatore (in tal senso il mestiere di giornalista sarebbe emblematico), ma che, proprio quando gli eventi cominciano ad accadere e le trame cominciano ad intrecciarsi, scompare così come il suo punto di vista. Emergono invece le emozioni, i pensieri e le situazioni che coinvolgono gli altri due personaggi sovracitati, la maestra e il meccanico. La loro storia d’amore sembra un film a sé stante, troppo calcata sia se si pensa al tempo effettivo dedicatagli che per gli snodi narrativi di cui si compone, soprattutto se messo in relazione alla terza parte del film, quella in cui ritorna in scena il ragazzo dell’inizio e comincia la caccia all’assassino.
E’ chiaro che gli autori volessero realizzare una pellicola che parlasse soprattutto di integrazione sotto più aspetti (gli immigrati di seconda generazione, le ronde padane, il pregiudizio latente che aspetta solo di essere sollecitato per uscire fuori) e che i vari tempi del film servano ad affrontare il medesimo argomento su più livelli, ma a nuocerne è la fluidità e la coerenza.
“La giusta distanza” è un buon film, i limiti sopra esposti non ne impediscono un apprezzamento, ma dato il soggetto, le ambizioni e la già dimostrata in altre occasioni bravura dei realizzatori, sa un po’ di occasione sprecata.
La frase: "La giusta distanza è quella che un giornalista dovrebbe saper tenere tra sé e la notizia: non troppo lontano da sembrare indifferente, ma nemmeno troppo vicino, perchè l’emozione, a volte, può abbagliare".
Andrea D'Addio
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