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Gianni e le donne
"E' scabroso le donne studiar,/ son dell'uomo la disperazion,/ bionde o brune mister sempre son /donne donne eterni dei./Cherubin dal visin tutto ciel,/ dallo sguardo soave e seren,/ rosse o brune oppure biondine che fan,/l'uomo sempre burlato sarà/ donne donne donne"
Così recita la famosissima aria di "La vedova allegra" del compositore austriaco Franz Lehár (Komàrom 1870-Bad Ischl 1948) e tutti ne conoscono il contesto e il significato, moltissimi poeti hanno cantato la donna e come l’uomo sia affascinato da tale creatura, ma… che succede quando il soggetto ammaliato dalle femminee grazie è un distinto signore ormai maturo?
A rispondere a questa domanda è la deliziosa pellicola "Gianni e le donne" che con toni leggeri, tipici della commedia, scherza sulla situazione di malinconia e frustrazione in cui si trova un uomo a sessant’anni suonati. Come ha spiegato lo stesso regista Gianni di Gregorio: "Mi sono accorto di avere incontrato tante bellissime donne e che nessuna mi guardava più come prima, ma mi vedevano come una poltrona, un soprammobile." Ecco quindi Gianni, interpretato dal regista, autore e sceneggiatore della pellicola, ormai in pensione, che un giorno d’estate improvvisamente "apre gli occhi", grazie all’aiuto del fidato amico l’avvocato Alfonso (Alfonso Santagata). Il velo sottile che la quotidianità, la routine aveva messo davanti ai suoi occhi viene sollevato e Gianni scopre di nuovo il mondo attorno a sé. Si ritrova vecchio, circondato da persone più o meno della sua età e al tempo stesso al servizio delle donne della sua vita, prima di tutto di sua moglie (Elisabetta Piccolomini), una donna quasi inesistente che lavora dalla mattina alla sera, ormai diventata più un’amica che altro, poi della figlia (Teresa Di Gregorio), impegnata con l’esame di maturità e legata ad un ragazzo nullafacente che passa la sua vita piazzato in casa di Gianni. Per non dimenticare l’allegra e frizzante vicina di casa con cui ha un rapporto platonico e dulcis in fundo la mamma, interpretata ancora una volta da Valeria de Franciscis, già apprezzata dal pubblico in “Pranzo di Ferragosto”. Un’allegra signora novantenne nobildonna decaduta, che si ostina a vivere nella villa alle porte di Roma, giocando a carte con le amiche e dedicandosi, forse inconsapevolmente, a far impazzire il figlio, chiamandolo ad ogni ora del giorno e della notte per quisquiglie. Il tempo è passato e non si può più tornare indietro, ma come fare quindi a ritrovare il se stesso di un tempo, l’uomo che faceva cadere le donne ai suoi piedi? Dopo il successo di "Pranzo di Ferragosto", Gianni Di Gregorio descrive, con delicatezza e ironia, con una comicità garbata e mai volgare, questa età attraverso i suoi occhi, il mondo che lo circonda, tanto che c’è una certa assonanza e affinità con la vecchia commedia all’italiana. Vi è una linearità maggiore, un equilibrio di insieme e un’accuratezza nei dettagli maggiore rispetto al precedente, forse grazie ad un budget più nutrito. C’è un’analisi sociale sull’uomo, sulla vita e sulla vecchiaia, non vi sono pregiudizi o falsi moralismi, solo una malinconia e una nostalgia del passato che spesso fa capolino fra le righe. E’ un’opera gradevole e ben costruita, diversa dalla forza e dalla verve che aveva “Pranzo di Ferragosto”, ma certamente non da disprezzare, che conferma anzi lo straordinario talento di Gianni Di Gregorio
La frase: "Gli uomini di adesso non si vogliono impegnare, non sono come gli uomini della vostra generazione".
Federica Di Bartolo
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