A Serious Man
"A serious man" dei fratelli Coen è un film che buona parte del pubblico può odiare. Se siete tra quelli che hanno visto il film e ora vengono a leggere la recensione arrabbiati dopo la visione, siete senza dubbio giustificati. "A serious man" è un film infatti che finisce dove altri hanno normalmente il loro punto centrale. Non c'è sfogo, non c'è apparente significato, nessuna catarsi. Come dice il secondo dei rabbini che il protagonista interpella per cercare conforto, non sempre tutto deve avere un significato. Forse c'è, forse no, che si prende la vita così come arriva e "A serious man" non spiega nulla, almeno non in maniera tradizionale. Per questo e per tutti i motivi che gli sono annessi, "A serious man" è straordinario, un vero e proprio pugno nello stomaco, una di quelle pellicole che ti lasciano con gli occhi attaccati ai titoli di coda non tanto per leggere tutti i nomi della troupe, ma per avere il tempo di rielaborare quanto visto, ammortizzare quel concentrato di emozioni che si sono accumulate nei centominuti circa di pellicola.
I Coen costruiscono ogni sequenza con una cura che rasenta la perfezione: in un "semplice" primo piano di una mano su una mano, in un mortale incidente automobilistico che accade fuori campo, nella sconfortante visione dei villini a schiera dall'alto di un tetto (una scena che ricorda molto lo sguardo dalla collinetta di "Revolutionary road"), nell'inseguimento di un bambino che rivuole i suoi venti dollari e in tanti, forse tutti, gli altri momenti del film, c'è un tale carico di tensione che sembra di essere dentro ad un tiratissimo thriller anche se così non è.
Al contrario, "A serious man" è una sorta di commedia. Non si ride, a meno che non ci si sforzi di farlo, ma tutti i personaggi viaggiano in una zona grigia tra il satirico grottesco e il dramma più puro.
Non è un caso che il prologo sembri l'incipit di un horror.
Protagonista è un professore di fisica ebreo del midwest a cui ne capitano di tutti i colori: matrimonio, figli, lavoro, salute, fede.
Non c'è qualcosa che sembra andare nel verso giusto. Lui è l' "uomo che non c'è", una persona che subisce gli altri, assorbe senza dare indietro. Per tutta la durata della narrazione, grazie alla già citata abilità registica dei due fratelli, siamo in attesa di una sua reazione, di una sua esplosione: tutto ciò che gli capita deve avere senza dubbio un senso, deve portare da qualche parte!!!
Ne esce fuori una profonda riflessione sulla solitudine dell'uomo, uno spaccato di vita quotidiana composto sì da situazioni spinte al limite, ma comunque evocatrici di realismo, di sentimenti con cui proviamo empatia perchè in qualche modo, anche lontanamente, sentiamo nostri. C'è dentro un po', ma non tutto, di quell' umorismo yiddish tipico di tanta letteratura contemporanea e passata (da Isaac Bashevis Singer a Nathan Englander passando per Philip Roth), ma con un punta di pessimismo in più. Forse si potevano dire le stesse cose parlando di un cristiano praticante o di un laico, ma si sarebbe persa quella sensazione di smarrimento e riferimenti culturali in generale, ancor più che storico-iconografici che elevano il film anche ad una dimensione filosofica. L'aspetto dell'ebraismo di essere una religione caratterizzata dall'attesa, è legato a doppio filo con l'idea stessa del film, il suo tenere sulle spine giocando con una conclusione continuamente rimandata. I Coen attingono dalla loro esperienza autobiografica: i genitori erano professori, la loro scuola era ebrea, uno dei rabbini presenti è ispirato ad un loro vecchio rabino. Per rendere credibile il tutto, come al solito, i due cineasti scelgono volti che si stagliano nella memoria: ecco quindi una serie di attori completamente sconosciuti, fisici e espressioni che non rimandano a nessun altra parola o situazione che non sia il film stesso.
Chissà, forse la scelta di un cast non popolare è stata fatta anche per limitare i danni di un possibile flop commerciale: dubitiamo che "A serious man" diventi un campione di incassi. E' però proprio questo coraggio, l'idea di realizzare un film "per pochi" che va contro quasi tutto e tutti, si trova parte della grandezza dei Coen.
Già quando presentarono un noir in bianco e nero com "L'uomo che non c'era" dimostrarono quanto poco fossero preoccupati dal boxoffice.
Loro sono uomini seri. Peccato che non tutti i cineasti contemporanei, anche i più grandi, se lo possano o se lo riescano più a permettere. Avremmo forse più capolavori.

La frase: "Per favore, accetti il mistero".

Andrea D'Addio

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