Danny the dog
Jet Li ritorna a lavorare con Luc Besson dopo Kiss of the dragon, e come allora anche in questo film a mettere in scena la sceneggiatura del famoso cineasta francese, ci pensa un suo ex assistente alla regia, il debuttante Louis Laterrier.
Chi conosce l'attore cinese, sa bene cosa possa trovare in Danny the dog. Per tutti gli altri basterà sapere che Jet Li è stato campione nazionale di Wushu (un'importante arte marziale) dal 1975 al 79, quando decise di dedicare le proprie doti di lottatore al cinema di Hong Kong. Da lì una lunga scalata che lo ha portato solo nel 1998 nelle grazie di Hollywood (Arma letale 4).
In "Danny the dog" Li è il protagonista, il "cane" sguinzagliato da Bob Hoskins capo di una banda di delinquenti in una Glasgow mai così cupa, perché estorca denaro a commercianti e malviventi. Fin da piccolo è stato allevato affinché diventasse un'arma pronta a colpire, uno strumento in mano al proprio padrone, e così viene trattato. Dorme in una gabbia, mangia con le mani, non comunica con nessuno. Picchia e basta.
La situazione cambia quando, in seguito ad un incidente, si ritrova prima libero, e poi accudito da Sam un vecchio e cieco accordatore di pianoforti (un Morgan Freeman versione Ray Charles). Ma la resa dei conti non tarderà ad arrivare…

Che Besson faccia ormai di tutto per emulare i popcorn-movie statunitensi lo possiamo prendere come un dato di fatto. Che lo faccia bene, francamente, è quasi una scoperta (dopo Taxxxi, gli altri lavori prodotti in quest'ambito erano piuttosto mosci). "Danny the dog" è infatti un film dove scene d'azione e introspezione narrativa trovano un giusto equilibrio. La storia è senza dubbio grottesca, ricca di forzature e paradossi (Danny in molte occasioni non si capisce se ci fa, o ci è), ma va presa per quello che è, un racconto semplice e semplicistico finalizzato all' intrattenimento con tanto di azzeccatissima colonna sonora creata "ad hoc" dai Massive Attack, e moralina da fine della favola ( "E' buffo come si formino le famiglie", ma in realtà tutte le battute di Morgan Freeman sembrano considerazioni da BaciPerugina…)
E se il finale sembra tanto un rivisitazione in chiave "arte marziale" della celebre irruzione del poliziotto corrotto Gary Oldman nell'appartamento del giusto Léon (proprio di Luc Besson), non possiamo che sorridere ripensando a quando gli europei sapevano fare per bene anche i film europei.

La frase: - Come diceva mia madre: prendili da piccoli, le possibilità sono infinite…
- Pensavo lo dicessero i gesuiti!
- E' perché lo hanno sentito dire da mia madre!

Andrea D'Addio

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