Une vie meilleure
Potrebbe essere tra i papabili alla vittoria della sesta edizione del Festival del Cinema di Roma questo "Una vita migliore" di Cedric Kahn. Dramma esistenziale sulla ricerca del domani, in un panorama storico non propriamente ottimistico.
Yann e Nadia - lui trentacinque, lei ventotto - sognano di aprire insieme un ristorante. Così, malgrado la non rosea situazione finanziaria in cui versano, i due si avventurano in una giungla di finanziamenti selvaggi. Quando l’acqua arriva alla gola, Nadia è costretta ad accettare un lavoro in Canada e lasciare il figlio a Yann. Lui, deciso a salvare il ristorante, affronterà da solo la dura indifferenza della quotidianità...
Guillaume Canet, lo Yann protagonista del film, l’avevamo già visto l’anno scorso in "Last Night", sempre a Roma, sempre in occasione del Festival. Ma mentre lì era costretto a seguire una trama statica e con pochi slanci, qui riesce a emergere in un dramma toccante finanche alle lacrime. Ammesso che vi facciate convincere da alcune scelte non proprio felici di sceneggiatura. Per essere chiari, la prima parte del film appassiona, mentre la seconda risulta un poco annacquata. Volendo, forzatamente retorica. Unica nota a piè di pagina in un film comunque registicamente molto, davvero molto solido.
Kahn mette al centro il dramma umano. La Parigi che descrive è fatta di immigrati clandestini e destini sospesi. Quasi irriconoscibile, Parigi contrasta il paesaggio innevato del Canada proposto nel finale. Difficile dire se il regista voglia far credere in un happy ending, o sottolineare la desolazione a cui la condizione umana di oggi ci confina tutti. Bel film.
La frase:
"...Devo andare...".
a cura di Diego Altobelli
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