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The Tree of Life
Imbattersi in un film di Terence Malick può essere un'esperienza tanto emozionante quanto inaccessibile: nel suo modo di raccontare la realtà, scopriamo infatti un approccio cinematografico spesso visionario, frutto di una ricerca esistenziale tortuosa ed ermetica quando si tratta di affrontare le dinamiche umane. Un processo stilistico di sicuro non scontato, a suo modo rivoluzionario, che può soddisfare o meno lo spettatore ma che di sicuro non lascia indifferenti. Malick dopo quasi quarant'anni di carriera porta al Festival di Cannes 2011 la sua quinta pellicola: di certo un regista non prolifico, famoso per la sua definizione quasi ossessiva di ogni singola inquadratura, qui nel difficile compito di indagare i temi universali a lui più cari che ritroviamo costantemente: la Vita e la Morte.
The Tree of Life è ambientato in Texas negli anni '50, in quell'angolo d'America dove le case sono impeccabili e i giardini sempre verdi, perfetti per rinchiudere l'apparente serenità delle famiglie. La pellicola si apre con un lutto, la morte di un figlio, un evento inaspettato che fa crollare l'equilibro della famiglia O' Brien. A ritroso nel tempo, scopriamo la vita della famiglia e i personaggi che la compongono: il sig. O'Brien, un uomo duro e frustrato a causa dei suoi sogni infranti, la moglie, l'unica che incarna la bontà e la pazienza e i tre figli adolescenti. Jack il più grande, attraversa la dura fase della non accettazione dell'autoritarismo paterno, e il suo voler crescere si scontra con l'incomunicabilità di un padre, che lo educa a non essere buono perchè "le persone buone non combinano mai niente nella vita".
Il percorso di Malick è proprio quello di esplorare il significato profondo della vita partendo proprio dalla morte e avventurandosi in una trasposizione universale del tema. Così assistiamo ad un passaggio brusco ma inesorabile verso quelle immagini che ci raccontano la nascita del cosmo, delle galassie, i primi microbi sulla terra e i dinosauri, in definitiva il regista scova il parallelismo e le mille connessioni tra l'intimità delle esperienze di ogni singolo individuo e la grandezza dei processi cosmici, in una perfetta sintesi spazio/temporale, a dimostrazione che le nostre azioni e in sostanza la nostra vita sulla terra, sono regolate da un equilibrio assolutamente speculare. Non è un caso se Malick per le atmosfere rarefatte di queste sequenze, si sia avvalso di un Douglas Trumbull, colui che ci ha trasportati con i suoi effetti speciali nello spazio di 2001: Odissea nello spazio di Kubrick. Queste sono scene pregevoli ed ipnotiche che si riallacciano alle tematiche predominanti del film: la Grazia spirituale e la Natura brutale che sono declinate fin dall'inzio del film, quando una voce fuori campo, che accompagnerà come un mantra l'intera narrazione, si interroga sul perchè della vita, da cosa è regolata e perchè è così dura. Grazia e Natura, ecco cosa regola la vita, sia nel "macrocosmo" dell'universo, sia nel "microcosmo" familiare degli O'Brien, dove Brad Pitt, il padre, rappresenta la durezza della natura e la madre, Jessica Chastain, nel suo essere simile ad una creatura ultraterrena, contiene tutta la dolcezza della grazia. Sean Penn interpreta il figlio Jack da adulto. Da ragazzino a uomo il passaggio sembra non aver definito completamente la sua personalità. Vaga spiazzato e quasi inorridito nel grattacielo dalle grandi vetrate in cui lavora.
Anche qui lo spazio, quello terreno, ci trasporta direttamente in quegli ambienti aperti della sua giovinezza, il cui ricordo ancora lo sconvolge. La lunga sequenza del finale sembra chiudere il cerchio:
all'aperto, di fronte all'oceano, forse l'armonia di Jack verrà idealmente ristabilita.
Un film per certi versi cerebrale, di non facile visione, denso di significati e ricco di piani di lettura che si fondono insieme e si nascondono l'uno dentro l'altro, come fossero scatole cinesi, a cui ogni spettatore può accedere a seconda della propria sensibilità. Tuttavia l'impatto che quest'opera lascia è prevalentemente lo stupore con cui Malick rende per immagini la poesia della vita, i suoi processi costruttivi e distruttivi, nel magico ciclo della vita, in molte culture e religioni rappresentato appunto da un albero: l'albero della vita.
Anna Barison
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