The Reader - A voce alta
"Tutti sapevano. Come hanno fatto a permetterlo?". Per una parte della generazione tedesca successiva al Nazismo la domanda può essersi posta ma nell’età della ragione, quando cioè i rapporti affettivi con i genitori - corresponsabili degli orrori del regime - chiaramente erano già solidi. A ciò vanno aggiunti anche alcuni atteggiamenti e tendenze di una nazione – di fronte al tribunale del mondo - caratterizzati da lentezze procedurali, resistenze difensive, responsabilizzazioni singole. Per il dramma etico-sentimentale di questa gioventù è stato utilizzato il termine “Vergangenheitsbewältigung” (ossia la lotta per venire a patti con il passato), e l’argomento è stato affrontato da "A Voce alta", breve romanzo semiautobiografico del professore di legge a Berlino Bernhard Schlink adottato come libro di testo nelle scuole del paese e tradotto in 40 lingue, nonostante abbia ricevuto accuse di revisionismo e pornografia culturale nel permettere un’identificazione del lettore con i criminali. I suoi diritti cinematografici sono stati acquistati nel 1996, e una decina d’anni dopo Stephen Daldry - che aveva studiato tedesco e vissuto nella capitale - si è proposto per dirigerlo, in Germania e con troupe locale.

Sebbene il film si restringa su due amanti, con la scoperta dell’identità della donna il caso privato si fa subito universale, mantiene un costante mistero intorno a Kate Winslet, relativizza la resa o meno del tormento emotivo e morale del protagonista (da ragazzo e da adulto), rimanda ad alti dilemmi e tocca questioni nodali. Ad esempio, la differenza tra limiti della Legge e purezza etica per cui, a proposito di colpa collettiva, il peso maggiore della pena ricade su chi – da anonimo impiegato di un campo di concentramento - si assume responsabilità proprie e altrui, mentre i pavidi e bugiardi colleghi se la cavano con molto meno. Soprattutto, l’opera mostra lo sforzo dei figli nell’indagine e nel trattamento umano dei condannati, seppure vincolato a legami personali. Il che non significa perdono, ma un doloroso grado di maturazione che è il vero tratto di discontinuità coi padri.

La frase: "Quello che proviamo è irrilevante. Conta ciò che facciamo".

Federico Raponi

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