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The BleederLa recensione del film a cura della Redazione di FilmUP.com di Rosanna Donato02 settembre 2016Voto: 8.0
“The Bleeder” è la pellicola diretta dal regista canadese Philippe Falardeau e incentrata sulla vera storia dell’ex pugile statunitense Chuck Wepner, che resistette ben 15 round contro il più grande pugile dei pesi massimi, Muhammad Ali. Werner è ricordato anche per aver ispirato il personaggio di Rocky Balboa a Sylvester Stallone, il quale a quei tempi era un attore e sceneggiatore alle prime armi. Proprio per questo l’uomo è stato soprannominato il “Vero Rocky”. Nel film verranno toccati tutti gli aspetti della sua spregiudicata esistenza, a partire da quell’incontro che - se vinto - l’avrebbe reso il nuovo campione del mondo. Ma le sue lotte più dure furono fuori del ring, dove condusse una vita all’insegna di droghe, alcol, donne, successi e profonde cadute.
Philippe Falardeau - conosciuto ai più per aver diretto “Monsieur Lazhar”, che gli era valso una nomination all’Oscar per il Miglior film straniero - torna a emozionare il grande pubblico con il progetto biografico “The Bleeder”, che vede protagonista indiscusso l’attore Liev Schreiber nei panni del pugile noto come “The Bayonne Bleeder” (il sanguinante di Bayonne). Il film rappresenta una fedele riproduzione di quanto accaduto a Chuck Wepner nel corso della sua vita: dalla difficile relazione con la moglie alla separazione da essa, dai suoi problemi di droga alla condizione di detenuto in carcere. Il regista, attraverso l’utilizzo di alcuni espedienti come la voce fuoricampo del protagonista (tutti i suoi pensieri circa il combattimento e le esperienze successive), riesce a dare vita a una vicenda a dir poco realistica e compie scelte registiche che mirano a sottolineare gli stati d’animo degli interpreti. A fare da cornice al film, una meravigliosa colonna sonora che comprende l’indimenticabile sigla sentita nel primo Rocky Balboa (in seguito anche i quelli successivi) durante il suo allenamento. Una musica che riaccende i ricordi del pubblico, portandolo indietro nel tempo e facendogli rivivere emozioni contrastanti (gioia, malinconia), le stesse che tutti abbiamo provato anche guardando i suoi sequel, fino all’ultimo “Creed - Nato per combattere”. Un altro aspetto che ci è piaciuto in modo particolare, sempre legato al pugile di Stallone, è la presenza di un attore che ricopre i panni di Sylvester, che Chuck conobbe quando a Sly venne l’idea di realizzare un film ispirato alla sua vita. A farla da padrone qui è il desiderio di diventare qualcuno di importante nel proprio campo di interesse, anche se spesso il successo porta l’uomo a compiere azioni poco meritevoli (ad esempio lo spaccio) o in contrasto con l’idea di una vita salutare (alcool). Questo, però, non è l’unico tema che emerge nel lungometraggio, in quanto si assiste a una vera e propria ‘prova’ che sperare aiuti a vivere meglio, a credere che le cose possano cambiare e a circondarsi di quel po’ di ottimismo che nella vita non guasta mai. Ovviamente, tra le tematiche più importanti, è presente anche quella del rispetto verso la famiglia e gli altri. A nessuno è dovuto tutto, soprattutto se il diretto interessato vuole buttare la propria vita per un sogno che potrebbe non raggiungere mai, allontanando così i suoi affetti più cari (quante volte succede che si perdano di vista le priorità?) e rischiando la propria vita. Le scene, spesso caratterizzate da un’intensità capace di sorprendere anche lo spettatore più scettico (visto gli innumerevoli film su questo genere), sono state girate con una tecnica che dona all’immagine quella sgranatura tipica dei lungometraggi di un tempo, ma non solo: nel film vengono riportati momenti realmente accaduti, a volte attraverso immagini in bianco e nero. Per quanto riguarda l’interpretazione, Liev Schreiber - perfetto nel suo ruolo - dimostra che i tempi di Scream sono finiti. Si presenta, infatti, come un attore più maturo e in grado di destreggiarsi tra le parti più disparate e di comunicare attraverso gesti (vedrete un abbraccio tra lui e la moglie che susciterà non poche emozioni) e - soprattutto - la sua forte e chiara espressività. Nel cast è presente anche Naomi Watts, che interpreta la barista di un locale frequentato da Chuck. Essendo il suo ruolo secondario, l’attrice non ha avuto modo di dimostrare tutto il suo talento, anche se le poche battute hanno confermato la sua risaputa bravura. Una menzione speciale, invece, è da attribuire a Elisabeth Moss (prima moglie del pugile), in quanto a tratti risultava più credibile dell’attore principale: lo sguardo comunicava ciò che la voce non era in grado di dire. Consigliamo il progetto a un pubblico che ama le storie realmente accadute, intense, complicate, ma piene di spunti sui quali riflettere e con un messaggio positivo da diffondere: c’è sempre una via d’uscita per tutto, l’importante è fermarsi in tempo e imparare dai propri errori. La frase dal film:
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