Terminator Salvation
Cyborg: un filone che non è "Terminator"...
Sono trascorsi ben venticinque anni da quando un poco più che esordiente James "Titanic" Cameron portò al successo un non ancora famosissimo Arnold Schwarzenegger con "Terminator", allucinante fanta-movie a tinte horror in cui il colosso austriaco vestiva i panni di un sofisticato killer, metà uomo e metà macchina, inviato dal futuro per eliminare Sarah Connor / Linda Hamilton, genitrice di colui che avrebbe guidato nel XXI secolo una vittoriosa resistenza nella guerra tra esseri umani e robot.
Quindi, una sorta di riadattamento cibernetico dello psicopatico Michael Myers protagonista della serie "Halloween", il quale, trasformatosi molto presto in un classico, ha finito per generare i riusciti sequel "Terminator 2 - Il giorno del giudizio" (1991), sempre per la regia di Cameron, e "Terminator 3 - Le macchine ribelli" (2003) di Jonathan Mostow, oltre alla serie televisiva "Terminator: The Sarah Connor chronicles" e all'imminente "Terminator salvation" di McG.
Senza contare le innumerevoli imitazioni...
Anni Ottanta: sulla scia di Schwarzy
Recenti debiti nei confronti della creatura di James Cameron s'individuano sicuramente sia nell'Uber-Jason comparso in "JX-Morte violenta" (2001) di James Isaac, decimo capitolo della serie "Venerdì 13", che nel pericoloso cane robotico protagonista di "Rottweiler" (2004) di Brian Yuzna.
I primi derivati, però, risalgono già agli Anni Ottanta, decennio in cui non solo "Terminator" venne distribuito in sala, ma il successivo "Robocop" di Paul Verhoeven contribuì ad accentuare ulteriormente l'interesse nato attorno al cinema dei cyborg.
Era infatti il periodo in cui il re dei b-movie Charles Band finanziò sia "Eliminators" (1986) di Peter Manoogian, con un pilota che, precipitato nella giungla e trasformato in un armatissimo androide da un malvagio scienziato, finisce per ribellarvisi, che "Maximum thrust" (1987) di Tim Kinkaid, incentrato sulla figura di un guardia del corpo indistruttibile e in contrasto con i crudeli metodi della dittatrice assegnatagli da difendere.
Stesso periodo in cui fece la sua apparizione l'australiano "The time guardian" di Brian Hannant che, interpretato da Carrie "Guerre stellari" Fisher e circolato dalle nostre parti con il truffaldino titolo "Terminators 2", ha per protagonista un'intera città, in viaggio attraverso le correnti del tempo per fuggire da una Terra morente, continuamente attaccata dai malvagi cyborg mutanti denominati Jen-Diki.
Senza dimenticare "The vindicator" (1986) di Jean-Claude Lord, quasi rilettura cibernetica del mito di Frankenstein con la reginetta della Blaxploitation Pam Grier, facente parte anche del trittico di professori terminator trucida-studenti protagonisti del bello e sottovalutato "Classe 1999" (1990) di Mark L. Lester.
Donne, botte e cibernetica
Del resto, la Grier non è l'unico esempio cinematografico di cyberkiller in gonnella.
Infatti, se già "Dovevi essere morta" (1986) di Wes Craven proponeva una vendicativa robo-zombi, non dobbiamo dimenticare il simile "Steel and Lace" (1990) di Ernest D. Farino e "Retaliator" (1987) di Allan Holzman, incentrato sulla agente di una potenza orientale che, gravemente ferita, viene salvata tramite l'impianto al suo interno di organi biomeccanici, i quali finiscono per dotarla di forza sovrumana.
Per non parlare della sexy e pericolosa Eve 8 protagonista del guardabile "Priorità assoluta" (1991) di Duncan Gibbins, del mediocre "The demolitionist" (1995) di Robert Kurtzman, praticamente rifacimento al femminile di "Robocop", e di "Demolition cop" (1993) di T.J. Scott, con poliziotta esperta d'arti marziali uccisa e trasformata in automa al servizio dei cattivi.
Anni Novanta: cyborg, azione e arti marziali
Tra l'altro, a partire da "Cyborg" (1989) di Albert Pyun, in cui l'essere robotico del titolo è una donna protetta dal combattivo Jean-Claude Van Damme in un viaggio attraverso una post-apocalittica America del Nord del XXI secolo, pare che il mix di action-movie, arti marziali e creature biomeccaniche sia stato uno dei più gettonati dalla fantascienza di serie b che ha segnato il decennio apertosi con i mondiali di calcio italiani.
Lo stesso Pyun, pur lasciando la regia dei sequel "Cyborg 2" (1993) e "Cyborg 3" (1994) - il primo dei quali interpretato da Angelina Jolie e Jack Palance - nelle mani di Michael Schroeder, ha colto non poche volte l'occasione per tornare sull'argomento.
Suoi sono infatti "Knights - I cavalieri del futuro" (1993), la tetralogia "Nemesis" (1993/1995, in Italia "Cyborg terminator") e quell'"Heatseeker" (1995) il cui fulcro sono futuristici incontri di kickboxing tra combattenti biotecnologici.
Un filone in cui s'inseriscono tranquillamente sia "Futurekick" (1991) di Damian Klaus che i due "Cyber tracker" (1994/1995) di Richard Pepin, tutti interpretati (parola grossa!) da Don "The Dragon" Wilson.
E, sorvolando sulla trilogia "Cyborg cop" (1993/1995), che ha visto dietro la macchina da presa Sam Firstenberg per i primi due capitoli e Yossi Wein per il terzo, possiamo tranquillamente affermare che, tra un "Cybernator" (1991) di Robert Rundle, un "Cyberjack" (1995) di Robert Lee e un "Techno-fear" (1996) di Lamar Card, uno dei migliori esempi del periodo va riconosciuto in "Automatic" (1994) di John Murlowski, vicenda tutta azione ambientata in un claustrofobico grattacielo con androide e bella di turno in lotta insieme per la sopravvivenza.
Anche se il volto più noto della filmografia cibernetica a basso costo degli Anni Novanta è con ogni probabilità quello di Frank Zagarino, uomo macchina cattivo della saga "Shadowchaser", costituita da tre tasselli realizzati tra il 1992 e il 1995 da John Eyres e da un quarto firmato nel 1996 da Mark Roper.
Guerrieri d'acciaio all'amatriciana
E Frank Zagarino è anche il protagonista dell'italianissimo "Cyborg - Il guerriero d'acciaio" (1989), diretto dall'effettista Giannetto De Rossi e ambientato su un'isola dei Caraibi con una squadra speciale americana a caccia del fuggito CY-WI, prototipo dell'unità speciale di combattimento.
Uno degli ultimi esempi di fanta-movie tricolore, insieme al "Terminator 2" (1990) confezionato da Vincent Dawn alias Bruno Mattei - già responsabile anche di un "Robowar" che fonde "Predator" e "Robocop" - in anticipo rispetto al vero sequel del film di Cameron, rifacendo "Aliens - Scontro finale" nei sotterranei di una futuristica Venezia.
Una filosofia di cinema nostrano che, con pochi mezzi ma molte idee opportunamente legate all'ingenuità, ha aveuto modo di regalarci anche un "Vendetta dal futuro" (1985) di Sergio Martino, noto soprattutto perché ultima interpretazione di Claudio Cassinelli, morto in un incidente nel corso delle riprese, e il dozzinale "Il giustiziere del Bronx" (1989), diretto da Vanio Amici sotto pseudonimo Bob Collins e riguardante la lotta tra androidi e umanoidi sulla Terra.
Una filosofia di cinema di cui è possibile forse scorgere un'ultimissima traccia durante i minuti conclusivi dell'horror "M.D.C. - Maschera di cera" (1997) di Sergio Stivaletti, contenenti un chiaro e dichiarato omaggio allo scheletro robotico di "Terminator", ma che, occultata da un sistema produttivo proto-tubo catodico, facilmente propenso a seppellire il genere tramite film tutti uguali tra loro ambientati tra uffici e due camere e cucina, lascia soltanto ai più scaltri e sfacciati imprenditori d'oltreoceano il coraggio di osare ancora la carta della fantascienza finanziata in ristrettezze economiche.
Non a caso, mentre nelle nostre sale non si vedono altro che derivati di "Tutta la vita davanti" di Virzì, l'America già sforna per l'home video un "The terminators" di Xavier S. Puslowski, scritto e prodotto da quel David Michael Latt cui si devono i vari rifacimenti (e spesso risibili, bisogna ammetterlo) a basso costo dei recenti successi hollywoodiani, da "Transformers" a "Io sono leggenda".
Francesco Lomuscio
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