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04 Settembre 2006 - Conferenza Stampa
"Falling"
Intervista alla regista e al cast.
di Mauro Corso
Alla conferenza stampa di "Falling" erano presenti la regista, Barbara Albert, il cast e la scrittrice Barbara Alberti, che esprime anche una propria valutazione, molto positiva del film della regista austriaca quasi sua omonima.
Come vi siete preparate per intepretare i cinque personaggi femminili, che tipo di personaggi sono?
Kathrin Resetarits: Credo che il mio sia un personaggio con molti segreti e per questo è più facile identificarsi con esso. È come una superficie, su cui si può scrivere. Ma penso anche che rappresenti il limite per tutta una serie di illusioni tipicamente femminili. Prima dei trent'anni l'amore viene considerata la cosa più importante, ma dopo tante illusioni svanite passati i trenta e dopo tante speranze non realizzate non sembra più l'aspetto fondamentale della propria vita. Bisogna anche dire che le donne sono sottoposte ad una pressione incredibile, fino ai trenta tendono ad avere dei figli o ad occuparsi della carriera, e anche in quest'ultimo caso spesso proprio con l'intenzione di avere dei figli in seguito.
Ursula Strauss: Il personaggio che io ho interpretato è molto legato al bisogno di trovare l'armonia, ma non è una cosa facile. È molto diversa dalla persona che era a sedici anni e quindi si lascia cadere negli estremi, quindi abbandona i confini che lei stessa aveva stabilito. Grazie alle altre donne trova una nuova forza, e trova una nuova via che le permetterà di prendere decisioni in grado di cambiare la propria vita.
Birgit Minichmayr: Credo che il mio personaggio abbia molto a che fare con il passato nel senso che è molto emotiva e legata a questo grande amore a prescindere da come sia stato vissuto. Comunque questo le conferisce un grado di coinvolgimento superiore rispetto alle altre. E questo mi è piaciuto molto. Mi sono anche dovuta confrontare con l'argomento della morte, arrivando alla conclusione che alla fine è tutto superabile, e la vita continua. E questa era l'essenza del mio personaggio.
Nina Proll: Il mio personaggio in un certo senso era il più normale, con problemi meno evidenti, tanto più che la gravidanza non è un problema, almeno dal mio punto di vista. Il mio personaggio non lavora, quindi è coinvolta dalla concorrenza nel mercato del lavoro. Si può dire che abbia preso le distanze sia dal progetto di vita del lavoro che dal progetto della "piccola famiglia" che prescrive la felicità con un marito e con un figlio. Lei decide di avere un figlio da sola e per me questa è già una grande rivoluzione, che risolve nella capacità di lasciarsi cadere. Per quando riguarda la morte, trovo che la nascita della bambina esprima un segnale forte di speranza.
Gabriela Hegedüs: Per restare in tema il mio personaggio è il meno normale, Nicole si impegna molto per questa giornata, va a prendere sua figlia, chiede un giorno di permesso, poi un secondo anche se non del tutto regolare, perché ripone molte speranze in questo giorno, anche perché sono passati tredici anni e lei non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che si era posta. Lei è davvero un outsider dinanzi alla società ed infine "cade".
Barbara Alberti: A me questo film è sembrato un requiem del maschio, tutti assenti morti di overdose e quelli che sono presenti sono fantasmi inadeguati, come l'uomo di Alex, che sembra avere una temperatura corporea di 32 gradi. Ma non c'è trionfalismo, è anche un requiem della donna, cioè loro non ci sono e noi come formiche pestate. Però fortunatamente, o disgraziatamente, c'è non tanto voglia di vivere ma un testardo attaccamento alla vita, anche il bambino di Nina provoca paura (al che una domanda viene invocata da alcuni giornalisti... ovviamente tutti uomini) ... sì la domanda, evidentemente ormai tra morti c'è senso di fastidio per l'entusiasmo... volevo chiedere a Barbara Albert se il senso del film è racchiuso nella scena in cui le donne si ricordano di essere streghe e si lanciano contro il vento.
Barbara Albert: Anche un mio collega ha detto che quella scena richiama un momento molto arcaico. Non so se volevo davvero evidenziare questo arcaismo, credo che il film sia politico e anche sociale. Non volevo ridurre i personaggi a qualcosa di primordiale come "la Donna" o la "Strega" , anche se ho rivestito le donne con abiti neri e le volevo mostrare come una forza molto potente. Non volevo fare un film solo per le donne o solo con le donne, ma è sicuramente un film che ho fatto per le attrici. Non volevo parlare delle donne in generale, non è il compito di un lungometraggio, né del resto parlare degli uomini. Volevo mostrare quest'energia, questa forza straordinaria propria delle donne. È un film più leggero rispetto al mio film precedente, Radicali liberi, ed è fatto proprio per le attrici per mostrare i loro visi, i loro corpi, la loro forza. E per mostrare come mancano gli strumenti politici e sociali per incanalare queste forze. Noi siamo state politicizzate a 16-19 anni, ma poi molte speranze si sono spente. Vedo che ora ci sono nuove opportunità, che però non sono raccontate dai media. Quello che volevo dire alla fine è che c'è la possibilità di fare qualcosa.
La solitudine è lo stimolo ad una rinascita?
Barbara Albert: Per me la solitudine è sempre presente, prima e dopo, credo che la spinta sia l'amicizia, e anche questo salto nel tempo: sono passati quattordici anni e le amiche si vedono come erano nel passato e come sono adesso. La solitudine è un dato di fatto, non l'impulso ad andare avanti.
Come si sente ad essere l'unica donna in concorso al Festival di Venezia?
Barbara Albert: Sono contenta che almeno una realtà femminile sia rappresentata da un film fatto da molte donne. Ho avuto molte discussioni in passato ad altri festival, e all'ultimo non c'era neanche una donna. A Vienna mi è stato detto che non è una questione di selezione né dipende dalla Giuria, allora ho pensato che il motivo sia un altro. A livello internazionale il lavoro del regista è molto difficile perché non ci sono delle lobby, anche perché c'è sempre più concorrenza. Le donne lavorano più spesso in televisione o vengono spinte semplicemente fuori dai canali principali. Le donne non hanno cordate né molto potere e quindi non hanno molta influenza per difendersi a vicenda.
Mi sembra che il film non abbia voluto andare a fondo nei problemi, soprattutto nelle conflittualità tra le donne. Si propone in ogni caso di formare una nuova coscienza politica e sociale, con riferimento ad un ideale passaggio di testimone alla bimba di Brigitte?
Barbara Albert: La prossima generazione è testimoniata da Brigitte, e per me è molto importante. Comunque non volevo fare un psicodramma, non volevo rappresentare delle donne che vanno verso il futuro mano nella mano ma non volevo neanche esporre in profondità le loro conflittualità. Volevo sottolineare le forze individuali. Ogni donna ha con sé qualcosa da portare nel futuro anche a livello individuale.
Quanto appartiene alle donne la voglia di scrivere ancora "Wir sind frei", noi siamo libere?
Kathrin Resetarits: Sì alla fine ho questa battuta in cui ribadisco la nostra libertà, ma in realtà né uomini né donne sono liberi. Credo che l'arco narrativo mostri che noi siamo cresciute nella convinzione di ottenere qualcosa a livello politico, ma ora che siamo adulte ci rendiamo conto che la politica conta molto poco, perché si è trasferita in altri ambiti. La politica ha la sua importanza, ma in fondo tutto è politica quindi il privato è politico ancora di più rispetto al passato.
Barbara Albert: Volevo aggiungere che quando scrivo una storia non mi impongo di descrivere personaggi femminili positivi o personaggi maschili negativi, ogni personaggio ha entrambi gli aspetti a prescindere dal genere.
Ha tratto ispirazione dal Grande freddo?
Barbara Albert: Poco prima dell'inizio delle riprese mi hanno parlato di questo film. Non lo conoscevo prima, lo confesso, ma quando poi l'ho visto mi è piaciuto molto.
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