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03 Settembre 2011 - Conferenza
"Contagion"
Intervista al regista e al cast.
di Francesco Lomuscio
In occasione della Sessantottesima Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, il regista Steven Soderbergh è approdato al lido, affiancato dal cast e dallo sceneggiatore Scott Z. Burns, per presentare la sua ultima fatica: "Contagion".
Il cinema ha sempre dedicato molto spazio alla rappresentazione delle epidemie, ma i film che siamo stati abituati a vedere non avevano il realismo di "Contagion"…
Steven Soderbergh: Quando Scott mi propose l'idea del film, avevamo entrambi la sensazione che dovesse essere il più realistico possibile, soprattutto per quanto riguarda la parte medica. Tutto doveva essere plausibile e accurato, altrimenti non avremmo potuto dare il nostro contributo a questo genere così particolare. Per dirla tutta, mi sono ispirato ad un film di culto come "Tutti gli uomini del presidente" e volevo che il risultato finale avesse uno stile pulito e diretto, per arrivare al giusto livello di realismo.
L'epidemia ha inizio ad Hong Kong; in qualche modo il film vuole essere una sorta di metafora della crisi economica?
Steven Soderbergh: Assolutamente no, ciò che mi ha affascinato del film era in realtà proprio la mancanza di metafore. La sfida era quella di scrivere un'opera in cui il protagonista, il virus appunto, non parlasse, ma tutti parlassero di lui. L'ambientazione cinese è stata un'idea di Scott.
Scott Z. Burns: Semplicemente, sono stato ispirato dal fatto che in quelle zone geografiche è facile trovare dei mercati in cui si vendono e comprano animali vivi, quindi, è molto più facile anche che un'epidemia possa partire e diffondersi da lì. E ciò ci è stato confermato da un ricercatore della Columbia University che ha partecipato agli studi sulla Sars.
La morte di Gwyneth Paltrow potrebbe essere una sorta di punizione per il tradimento effettuato?
Gwyneth Paltrow: Beh, se così fosse credo che nessuno in questa sala rimarrebbe in vita, considerato anche che siamo in Italia (ride). La verità è che la mia Beth si trova solo nel posto sbagliato al momento sbagliato; non la giudico affatto per la sua scelta, è una donna molto umana.
Considerato che lo sviluppo frenetico della storia non ha quasi permesso una sorta di introspezione psicologica, è stato molto difficile lavorare ai vostri rispettivi ruoli?
Gwyneth Paltrow: Io mi sono molto divertita, sono arrivata in Cina, in una città in cui non ero mai stata ed è stata un'ottima esperienza. Soprattutto, mi è piaciuto avere l'alka-seltzer in bocca e cadere per terra mezza morta (ride).
Matt Damon: Non ci sono mai parti difficili quando sei in un film di Steven, per questo ho girato sei film con lui (ride). Sicuramente, il ciak che mi ha causato qualche problema in più è stato quello in cui il medico mi comunica la morte di mia moglie. Non sapevo ancora quali fossero i personaggi in campo e, soprattutto, non avevo idea di che tipo di scena recitare.
Jennifer Ehle: Il mio personaggio non ha proprio tempo per riflettere, ma, grazie alla sceneggiatura di Scott, i personaggi vengono conosciuti attraverso le scelte che fanno.
Laurence Fishburne: Tutti i caratteri erano già sviluppati molto bene nella sceneggiatura. Il mio ruolo ha in più una sorta di responsabilità etica, perché ha il compito di capire cosa stia succedendo e inviare le persone giuste per trovare la soluzione. Inoltre, è lui che decide quanta informazione fornire al pubblico, affinché si protegga senza entrare nel panico.
Come è nato il ruolo del blogger che accusa l'OMS e il Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie di speculare sulle malattie?
Steven Soderbergh: Abbiamo pensato che fosse importante inserire nel film una specie di controcanto.
Scott Z. Burns: In presenza di situazioni critiche come quella raccontata nel film è automatico confrontarsi con la cattiva informazione, che poi fa sempre riferimento alle cospirazioni, ma il personaggio di Jude Law non è un cinico. Crede a torto di essere ammalato e di aver trovato il rimedio giusto per la sua patologia; non sempre ha ragione, ma non tutte le sue posizioni sono sbagliate o disprezzabili. Insomma, è un personaggio ambiguo ma interessante.
Dopo aver girato questo film, sentite di avere più paura del contatto fisico?
Steven Soderbergh: Da quando avevo cominciato a lavorare al film sapevo che avrei pensato molto a questa cosa e non smetti più di lavarti le mani. Eppure, sono abbastanza tranquillo. A Venezia ho stretto molte mani e ho anche viaggiato in aereo, che è il posto peggiore se hai il timore di un'epidemia (ride).
Laurence Fishburne: Io invece mi lavo le mani esattamente come prima (ride).
Come fa a convincere ogni volta le star più acclamate del momento a lavorare per lei?
Steven Soderbergh: Quando la sceneggiatura è buona, si convincono subito. La fortuna è stata avere un materiale eccellente come quello che mi ha fornito Scott, perché ha reso il mio compito molto più semplice. Per me è importante riuscire a lavorare con artisti con cui il pubblico riesce ad identificarsi.
E' vero che vuole lasciare il cinema?
Steven Soderbergh: No, non lascio il cinema, ho in cantiere ancora tre film, poi, però, mi prendo una pausa. Ho solo bisogno di riposare un po'.
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