La fabbrica di cioccolato

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La fabbrica di cioccolato.
Gustare "il nuovo" ripensando, immancabilmente, al vecchio...

di Andrea D'Addio

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Dopotutto, quest'ultima è una delle tematiche classiche del cinema di Burton: quella del personaggio in cerca del proprio ambiente dove poter vivere, amare e farsi amare. Che sia l'"Edward mani di forbice", la Winona Ryder di "Beetlejuice", il Jack Skeleton di "Nightmare before Christmas" o il grande pesce di "Big Fish", i personaggi di Tim Burton sono irrequieti finché non trovano la propria dimensione, la propria famiglia. Ogni storia è quindi un percorso d'amore con una meta ben precisa.

Nei due lavori ricorre comunque un riferimento ad Hitchcock. Nel primo uno dei ragazzini viziati faceva una battuta sulla storia di "Il delitto perfetto", in quello successivo Burton fa dello stesso ragazzino la vittima della famosa scena di Psycho nella doccia. E' diverso invece l'uso delle musiche: in "Willy Wonka…" si presentavano ovunque e di più generi, in "Charlie….", nonostante seguano eventi drammatici come le scomparse dei bambini, hanno sempre un ritmo allegro.


C'è senza dubbio più autorialità nel film del regista californiano, rispetto a quello (ma non per questo meno bello) di Mel Stuart. Le considerazioni sono meno natalizie, forse più profonde, e se scenderà una lacrimuccia sarà di certo più sofferta di quelle che un tempo qualcuno perdeva a iosa davanti al televisore. Basta una scena per capire la diversità di approcci tra i due film. Nel primo, quando il magnifico Gene Wilder apriva la "minuscola" porta che dava sul giardino di dolciumi, i colori erano vivaci, allegri, spensierati. Un vero sogno ad occhi aperti.
Quando invece è Johnny Depp a passare per lo stesso ingresso i colori sembrano inizialmente gli stessi: gli intensi verdi dell'erba di cioccolato, i rossi luccicanti delle mele di zucchero, la brillante cascata di cioccolato. Eppure alzando un poco lo sguardo possiamo intravedere sulle pareti quel triste blu tipico dei lavori di Burton. Un blu che rende quell'apparente gioia più che grottesca…
I finali sono ambedue conciliatori, ma se lì si finiva in "grandezza" con Charlie sull'ascensore volante felice per la prossima prosperità della sua famiglia, qui si termina con una cena nella calda catapecchia dei Buckett. Dopotutto la felicità è nelle piccole cose…

E finisce così che quel bambino ormai diventato adulto, che un tempo guardava in televisione avidamente "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato", si troverà a gustare "il nuovo" ripensando, immancabilmente, al vecchio. E se l'emozione non sarà la stessa, è perché come i bei ricordi anche il cioccolato fondente, ha sempre un retrogusto amarognolo.




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