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La fabbrica di cioccolato.
Gustare "il nuovo" ripensando, immancabilmente, al vecchio...
di Andrea D'Addio
C'era una volta (ma neanche troppi anni fa) chi il 25 Dicembre si alzava presto la mattina e correva in salone per scoprire cosa ci fosse sotto l'albero. E poi, passata l'euforia (o la delusione), legata al dono ricevuto, si sedeva sul bordo del letto con gli occhi fissi sul televisore, aspettando che su RaiUno cominciasse la favola di "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato".
La storia la conosceva benissimo: l'aveva vista esattamente un anno prima, l'anno prima ancora e l'anno prima dell'anno prima ancora. Insomma, sempre… Eppure non poteva fare a meno di gustarsela ancora, per l'ennesima volta. E così mentre lui scartava il suo regalo, Charlie Buckett scartava quella magica tavoletta col biglietto d'oro. La sua felicità, era la stessa di quel ragazzino dall'altra parte dello schermo. In quella fabbrica "di sogni" non ci entrava solo Charlie, ma tutti i bambini che con lui si incontravano una sola, ma intensa, volta l'anno.
Quando cominciò a girare la voce che un regista fantasioso e "fanciullesco" come Tim Burton aveva voglia di riprendere quella stessa storia, le reazioni di quei (allora) bambini furono contrastanti. Ci fu chi storse il naso: "perché rifarlo se l'originale è già bellissimo?", chi invece approvò l'idea: "Tim Burton renderà quella storia ancora più fantastica di quanto già non sia", e a chi non gliene importò nulla (sono i Peter Pan che si sono dimenticati della loro infanzia).
A meno che non si facesse parte di quest'ultima schiera, andare al cinema a vedere "il nuovo" sembrò un dovere per tutti. E altrettanto naturale venne fare un confronto.
Tim Burton in realtà non ha mai detto di aver fatto un sequel, ma solo un riadattamento del libro "Willy Wonka e la fabbrica di cioccolata" pubblicato per la prima volta nel 1963 da Roald Dahl, autore nel 1971 anche della sceneggiatura dell'omonimo film diretto da Mel Stuart.
Seppur la traccia a grandi linee sembra essere la stessa, le differenze tra i due film sono sostanziali.
Già il cambio del titolo è indicativo. Il film di Burton è "Charlie e…." , quello di Stuart è "Willy Wonka e….". In ambedue i casi il personaggio citato nel titolo non è il protagonista della storia, ma quello su cui la storia convergerà.
Nel primo film il centro della storia è Charlie, questo poverissimo ragazzo sempre gentile e premuroso che vede nell'inaccessibile fabbrica di cioccolato, il simbolo della speranza. La fabbrica di dolciumi è ciò che lo spinge a guardare avanti con ottimismo e determinazione, senza accasciarsi sulle sue misere condizioni. Una volta riuscito ad entrare nello stabile, Willy Wonka gli si rivela come una sorta di riequilibratore sociale: è colui che premierà il buono (Charlie) e punirà chi non si accontenta delle proprie fortune (gli altri ragazzini).
La morale è tanto semplice quanto commuovente: comportarsi per bene, mettendo l'amore immateriale davanti a qualsiasi rendiconto pratico e personale, finisce col farti sorridere la vita.
Nel secondo film, anche Burton sembra inizialmente voglia focalizzarsi su Charlie. In realtà, poi scopriamo, che è giusto un pretesto per conoscere il malessere di Willy Wonka, un uomo solo, misantropo, alienato dalla realtà, costretto ad ignorare gli affetti per realizzare i propri sogni. L'attenzione si sposta quindi ben presto sul grande pasticcere, mettendo in secondo piano la storia di Charlie e del nonno (manca infatti la sequenza dei due nella stanza delle bibite con le bollicine che fanno volare, che c'era nel primo). Burton vuole mettere in scena un film sul rapporto genitori-figli. Lo fa in maniera esplicita, parlando dell'educazione quando a cantarne sono gli (ma forse dovremmo dire l'unico) irresistibili Umpa-Lumpa, in maniera leggermente più celata quando ci mostra con diversi flashback il rapporto di Willy Wonka col padre. Charlie diventa così la coscienza di Willy, una sorta di modello cui dover tendere. Anche in questo caso si tratta di "amore", ma la direzione è più circoscritta all'ambito familiare. [continua...]
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