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Sole alto











Dalibor Matanić, giovane regista croato (classe 1973), realizza un potente affresco di un ventennio di storia della ex Jugoslavia, riuscendo nel difficile tentativo di evocare quello che è stato un conflitto che ha dilaniato l’Europa, senza però mai dargli forma, tenendolo costantemente fuori campo, mettendone in scena i tragici effetti, nella fattispecie quelli patiti da due giovani che, essendo di diversa etnia (l’una serba, l’altro croato), vivono con estrema difficoltà tre storie d’amore che si dipanano tra il 1991 e il 2011.
La trovata di Matanić, infatti, è quella di aver utilizzato gli stessi due interpreti per periodi storici differenti, e ciò che ne risulta è un film in cui la dimensione pubblica (la guerra) e quella privata (l’amore) si intrecciano scontrandosi, e il "tempo emotivo" si rivela antagonista rispetto a quello cronologico della guerra.
“Sole alto” non si pone l’obiettivo di tentare una lettura politica a posteriori della situazione balcanica, ma, intelligentemente, si sofferma sulle persone, sui sentimenti provati, sull’impossibilità di smarcarsi dalle ripercussioni di un evento disastroso che ha seminato discordia, intolleranza, odio, opponendo, con una narrazione solida, i valori dell’accettazione e del perdono.
Nel 1991 assistiamo alla storia di Ivan e Jelena, un amore funestato dall’uccisione, a opera di un maldestro soldato, del ragazzo. Nel 2001, invece, è la volta di Ante e Nataša, due giovani che, inizialmente ostili, finiscono per cedere all’impeto dei sensi.
Infine, nel 2011, la tormentata relazione tra Luka e Marija pare volgere verso un felice esito.
Matanić - che è bene sottolinearlo è anche lo sceneggiatore del film - decide di chiudere all’insegna della speranza, instillando un germoglio di gioia nel cuore dello spettatore che, a quel punto della narrazione, si era già ampiamente disilluso su un possibile epilogo positivo.
Da segnalare, in particolare, alla fine del film, la prodigiosa sequenza della discoteca in cui l’abile assembramento di sonoro e immagini (ritmate da un frenetico montaggio) restituisce in pieno il tentativo maldestro, ma al tempo stesso commovente, di sfuggire a una realtà inesorabilmente condizionata dagli ancora operativi effetti del conflitto che, sebbene lontano (l’ultima storia è ambientata nel 2011), non cessa di condizionare i singoli. Il regista, inoltre, intervalla tutti i tre gli episodi con alcune scene girate in acqua, elemento che si carica, evidentemente, di una forte valenza simbolica, quasi catartica, purificatrice, fornendo una temporanea sospensione della continua tensione vissuta dai protagonisti.
Infine un plauso va alla strepitosa performance di Tihana Lazović che dimostra delle qualità attoriali non comuni, e rimane impresso il volto stanco e il suo silenzio che chiudono il film, incantando lo spettatore, a cui viene fornito un residuo di tempo per meditare su quanto visto.
Il film, insignito del premio della Giuria nella sezione Un Certain Regard dello scorso festival di Cannes, esce nelle sale il 28 Aprile, distribuito da Tucker Film, a cui vanno i nostri complimenti per la coraggiosa scelta.

La frase:
"Si è vero, la tua gente ci ha perseguitato, ma io non ce l’ho con te".

a cura di Luca Biscontini

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