Sbirri
Tutte le azioni della squadra inserite nel film sono vere.
E’ la giusta precisazione da fare allo spettatore che si sta per dedicare alla fruizione del lungometraggio di Roberto Burchielli, il quale vede Raoul Bova nei panni del giornalista televisivo Matteo Gatti che, dopo aver perso il figlio per l’improvvida assunzione di una pastiglia di ecstasy, viene accolto nella Squadra Speciale della Polizia che combatte lo spaccio di droga a Milano.
Camuffato sotto un travestimento proto-maresciallo Giraldi alias Tomas Milian, infatti, il protagonista di "Scusa ma ti chiamo amore" ha realmente vissuto per un intero mese con il nucleo speciale di polizia, partecipando alle azioni dell’antidroga, agli arresti e agli interrogatori, che all’interno del film finiscono per mescolarsi alla parte di finzione delineando il viaggio alla disperata ricerca dei motivi della morte del ragazzo.
E, tra audio in presa diretta ed abbondanza di riprese eseguite a mano che finiscono quasi per conferire un certo effetto "Blair witch project", è proprio questa fetta reality quella più interessante dell’operazione, il cui principale intento è raccontare dal di dentro le vicende di autentici eroi quotidianamente impegnati a fronteggiare il crimine.
Eroi che, paradossalmente, appaiono più credibili dello stesso Bova e di Simonetta Solder (interpreta la moglie del protagonista), calati in una recitazione che sfiora perfino quella poco esaltante di tante soap opera.
Del resto, buona parte del curriculum del regista è occupata da lavori realizzati per il piccolo schermo, al quale sarebbe stato più adatto anche questo "Sbirri", il cui look generale si pone a metà strada tra la fiction televisiva e i vari reportage-indagini sull’universo giovanile della tossicodipendenza.
Un esperimento difficile, dunque, il cui apprezzabile obiettivo di fornire l’unione tra più tipologie di linguaggio manca però il bersaglio; tanto da presentare il prodotto finito quale prolisso pasticcio che fallisce soprattutto nel lato relativo alla storia inventata, infarcito anche con momenti del tutto fuori luogo commentati da canzoncine orecchiabili da facile lirismo.

La frase: "La neve a Milano non è più un’emergenza meteorologica ma sociale".

Francesco Lomuscio

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