03 Aprile 2009 - Conferenza
"Sbirri"
Intervista al regista e al cast.
di Francesco Lomuscio

Prodotto dalla Sanmarco dell'attore Raoul Bova e della moglie Chiara Giordano, "Sbirri" è un mix di realtà e finzione che, diretto da Roberto Burchielli, penetra nell'universo del consumo di droga da parte dei giovani tramite il lavoro delle squadre speciali della polizia. In occasione della sua uscita in sala, regista e cast hanno incontrato la stampa a Roma, dove l'amministratore delegato di Medusa Giampaolo Letta ha precisato che il film è stato realizzato senza usufruire di alcun finanziamento pubblico.

Da cosa nasce questo progetto così particolare?
Raoul Bova: Una notte abbiamo visto in tv un documentario di Roberto Burchielli intitolato "Cocaina" e Chiara ne è rimasta particolarmente colpita per l'impatto forte, quindi abbiamo deciso di mettere in piedi qualcosa di diverso da interpretare per me al cinema e d'incontrare il regista, perché sembrava la persona più giusta. Poi, dopo l'incontro con Roberto è nata l'idea di inserire in un discorso di film documentario una figura cinematografica, un personaggio x, in questo caso rappresentato da un giornalista che è quasi un cittadino qualunque alle prese con la morte di un figlio per droga.

E' un film un po' insolito per un listino come quello della Medusa…
Giampaolo Letta: Io direi che è un film insolito proprio per un listino di cinema, non solo per il nostro. Comunque nasce come lungometraggio televisivo, infatti è prodotto da Mediaset, ma, quando ci siamo incontrati con Raoul e Chiara, ne abbiamo parlato e, dopo aver visionato i primi montaggi, ci sono piaciuti il lato della sperimentazione e quello dell'originalità. Allora abbiamo deciso per un'uscita in sala.

Esiste in Italia un giornalista come quello protagonista del film?
Raoul Bova: Sì, la figura del mio personaggio è ispirata un po' a Fabrizio Gatti, reporter d'assalto e giornalista de "L'espresso" che ha fatto parecchie inchieste e reportage.

Fabrizio Gatti ha visto il film?
Roberto Burchielli: Sì, Fabrizio Gatti lo ha visto, gli è piaciuto molto e ci ha trovato tante cose anche della sua vita e delle sue esperienze. Ciò ci ha fatto molto piacere.

Raoul Bova ha partecipato veramente alle azioni e agli interrogatori presenti nel film?
Roberto Burchielli: Alcune scene del film, anche quelle più vicine ai fatti, sono state girate da Raoul con la sua camerina, quindi tutto ciò che si vede è stato vissuto da lui in prima persona, compresi gli interrogatori; ciò è stato tecnicamente possibile in quanto abbiamo garantito che le persone coinvolte non venissero riconosciute e, secondo me, è molto più forte il non vederle in viso, perché sono come dei fantasmi che hanno dimenticato tramite la droga la propria identità.
Raoul Bova: La cosa fondamentale era non intralciare le operazioni di polizia. Comunque, il piccolo spaccio non è poi così pericoloso, perché non genera aggressioni o scontri a fuoco, anche se a volte trovi delle pistole in casa degli arrestati e qualcuno che, sotto l'effetto di sostanze stupefacenti, potrebbe fare qualsiasi cosa. Diciamo che in quei casi un po' di ansia mi è venuta, però ero con poliziotti preparati.

Quale è stato l'apporto di Duccio Camerini?
Roberto Burchielli: L'apporto di Duccio è stato importante nella costruzione della storia, perché il copione era libero e mano a mano che succedevano determinate azioni si studiava come fare sì che fossero vissute dal nostro personaggio, unico elemento di finzione all'interno della realtà.

Per gli attori quali sono state le difficoltà riscontrate nella preparazione dei propri ruoli?
Luca Angeletti: L'esperienza di questo film è stata molto rara, soprattutto per quanto riguarda il modo particolare di avvicinarsi ai personaggi. Di solito, quando c'è un testo scritto facciamo una ricerca sul personaggio, qui lo abbiamo creato, perché non c'era, c'erano dei temi che dovevamo rispettare. Abbiamo fatto pianosequenza di 15, 45 minuti, è stato un po' come fare teatro.
Simonetta Solder: Io ho iniziato il film con Roberto che mi ha detto: "Adesso devi fare da mangiare per Matteo e Marco", mettendomi immediatamente nelle condizioni di sentirmi a casa, anche perché, al fine di avere questo sapore di verità, la cosa fondamentale era il non avere tante persone intorno. Per esempio, nella cucina dove abbiamo iniziato a lavorare eravamo solo noi tre, Roberto e il direttore della fotografia.
Alessandro Sperduti: A livello recitativo è stato pazzesco, era una cosa che non mi era mai capitata prima, perché era bellissimo far trasparire le emozioni e tirare fuori le battute spontaneamente e solo in base alle diverse situazioni. In fin dei conti, io interpreto un ragazzo non molto diverso da me, perché è un tipo tranquillo che vuole divertirsi con gli amici; oggi, però, il divertimento viene spesso associato allo sballo e a ciò che purtroppo ti viene offerto. Mi ha colpito parecchio il fatto che oggi la droga viene presa con molta leggerezza, senza pensare ai suoi negativi effetti, quindi non so se esiste una soluzione vera e propria, perché è un problema molto radicato.

Sebbene abbia interpretato in diverse occasioni il poliziotto, è forse la prima volta che Raoul Bova si è trovato a confronto immediato con il mondo della criminalità…
Raoul Bova: Dal momento in cui abbiamo deciso di fare il film, c'era già una voglia di andare a far vedere il vero lavoro della polizia, di mostrare degli eroi normali, soprattutto ai giovani. E ti rendi conto che la finzione non è mai stata forte quanto quello che ho fatto qui, perché si rischia veramente di essere accoltellato, di fare un incidente con la macchina o di prendersi una malattia.

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