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Reservation Road
Una strada, due sensi di marcia opposti che ogni giorno fanno condividere anche se solo per un istante, lo stesso, piccolo spazio fisico a milioni di automobilisti. Attimi che per Dwight Arno (Mark Ruffalo) ed Ethan Learner (Joaqui Phoenix) diventeranno eternità.
Sulla “Reservation Road” il primo ucciderà il figlio del secondo, cambiando irrimediabilmente la vita di tutti i coinvolti: se Dwight sconterà ogni giorno interiormente la sua pena di non essersi fermato per prestare soccorso, Ethan catalizzerà tutto il suo dolore verso la rabbiosa ricerca dell’assassino. Due storie intersecanti, ma che hanno comunque in comune l’arrivo: il dolore.
Il film di quel Terry George reduce dal successo internazionale di “Hotel Rwanda” (ma si ricordi che è stato anche lo sceneggiatore del bellissimo “Nel nome del padre”), costruisce su questi due personaggi la propria drammaticità. I loro destini sono uniti, quell’incontro non sarà il primo. Fondamentale diventa così il luogo della vicenda, una piccola cittadina del tranquillo Connecticut. La vicinanza fisica dei rispettivi dolori in un posto dove si è costretti a frequentarsi, sarà lo strumento a cui si arriverà ad una soluzione. Tanti pirati della strada riescono poi a voltare pagina, tanti familiari di vittime di questi crimini passano la propria esistenza senza pace. Il personaggio di Phoenix rischierà di “perdere” il contatto con la propria famiglia, quello di Ruffalo invece quel sé stesso appena ritrovato.
A parte l’intenso finale, merito soprattutto dei due bravissimi protagonisti (Ruffalo più di Phoenix, per apprezzarli al meglio comunque è necessaria la visione in lingua originale), il film si compiace un pò troppo della tragedia che ne sta alla base. Il dramma rimane stantio, l’evoluzione dei personaggi non ha un adeguato accompagnamento visivo e quella spirale dei rispettivi drammi dei due protagonisti rimane ferma a qualche battuta degli stessi. Non c’è cambio di registro, non un qualcosa che renda più profondo il concetto al di là delle semplici, intuibili, intenzioni. “Reservation road” si vede, senza dubbio, senza problemi, ma rimane “freddo”, non sfrutta il suo carico emotivo. Volendo fare un paragone con quel “Babel” di cui questo film sembra riprendere il tema della sofferenza predestinata e condivisa, mentre il film di Inarritu fa di tutto (e purtroppo ci riesce) per commuovere, nonostante rischi in più punti di rivelarsi eccessivamente costruito e programmato, questo di Terry George, seppur sembri più spontaneo, non riesce a catturare l’emozione che storia e attori potenzialmente sembrano poter offrire. Peccato.
La frase: "Cosa è successo? Cosa è successo? C’è stato un omicidio, ecco che è successo!".
Andrea D’Addio
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