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Ponente
Ponente non è solo un luogo geografico. Una parte dello spazio dove dirigersi, da transitare o da dove partire. Ponente è un luogo dell'anima, il termine di un itinerario esistenziale e di vita dove fermarsi e riflettere sul passato appena vissuto, un pezzo di terra dove ritrovare fili bruscamente interrotti e tentare di riannodarli in un difficile percorso a ritroso nella memoria, nei ricordi che avevamo nascosto nelle pieghe di una falsa quiete quotidiana.
La regista andalusa Chus Gutierrez ("Alma gitana", 1995) gira nella sua terra, Granada, un film che non è solo il percorso interiore della protagonista Lucia (Cuca Escribano) ma anche la drammatica descrizione del calarsi delle ansie di Lucia, madre di una bambina, abbandonata dal marito, nella realtà della sua terra alla quale è costretta a tornare per la morte del padre, dalla quale si era allontanata in gioventù. Una realtà dura che Lucia decide di affrontare, rimanendo in quel luogo dal quale era fuggita, prendendo la coraggiosa decisione di continuare l´impresa agricola gestita fino a quel momento dal padre. Disagi personali e disagi sociali si intrecciano con giusto equilibrio grazie alla buona vena della regista spagnola. Sullo sfondo, infatti, si innesta il problema dell'immigrazione dal terzo mondo. Un variegato mondo composto dalle tante anime che fuggono una endemica povertà alla ricerca di una illusoria ricchezza che altri non è che una nuova schiavitù. Come quella del padre di Curro (Jose Coronado), l'uomo di cui Lucia si innamorerà, emigrato in Svizzera molti anni prima quando i poveri del mondo erano spagnoli e italiani, greci e turchi.
La mano della Gutierrez è una mano sapiente. Con un saggio uso di diverse inquadrature, primi piani insistenti, campi lunghi, riprese oniriche, e ottimi dialoghi mai eccessivamente scontati sempre pregnanti, asciutti e significativi, realizza un film fatto di fughe e ritorni, imperniato sull'amaro sapore del rimorso e raffinato dall'esaltante volontà del riscatto e della riconciliazione. Sull'accecante riflesso di una terra che terra più non è, tanto ricoperta della plastica delle moderne serre, si consuma la tragedia più antica dell'uomo, quella generata dall'ancestrale terrore dell'altro, del diverso da te, anche se a separare le opposte fazioni è soltanto una lingua di mare.
"Vorreste che fossimo invisibili" è l'amara constatazione di uno dei paria del mondo durante uno sciopero per ottenere delle condizioni di lavoro minimamente decenti. Sarà invece proprio la stupida idiozia di uno dei padroni a renderli più visibili che mai alla luce di un incendio provocato per miseri motivi di interesse.
DAS
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