Quando nel 2000 si seppe che la serie di Harry Potter sarebbe stata adattata al grande schermo, noi fans della prima ora andammo in un brodo di giuggiole, urlammo come in delirio, ballammo sotto la luna; all'uscita del primo trailer, ci fu chi lo vide 30-40 volte al giorno e chi se la fece sotto per l'emozione (ok, forse esagero). Infine la data fatidica arrivò, un'orda esaltata di spettatori (tra cui, ovviamente, il sottoscritto) invase i cinema, e la lunga attesa fu premiata: il film era bello. E oggi, passato qualche anno e altri quattro (fra poco cinque) film, è ancora bello. Columbus, diciamolo subito, era il peggior regista che si potesse scegliere per un'operazione del genere: troppo "americano", troppo zuccheroso, mediocre in tutto e per tutto; ma il fatto che nemmeno lui sia riuscito a rovinare HP e la Pietra Filosofale è indicazione della bontà intrinseca del materiale: difficile, invero, non appassionarsi al "viaggio dell'eroe" del giovane Potter, che il giorno del suo undicesimo compleanno scopre il suo destino, l'esistenza della magia e del male e "fa il primo passo in un mondo più vasto" (come direbbe Obi-Wan). Columbus e lo sceneggiatore Steve Kloves scelgono la strada facile della fedeltà a tutti costi al libro: il risultato finale, pur se un po' pedante e meccanico, comunque intrattiene, diverte e spesso incanta. In grande spolvero il cast (non però il giovane protagonista, discretamente inespressivo), con i giovani esordienti affiancati da grandi stelle del cinema britannico (tra i quali John Cleese, che si stacca la testa da solo in una spruzzata d'umorismo "Pythonesco"), e bellissime le scenografie e le ambientazioni, immerse in una limpida fotografia che oscilla fra le tinte dorate e il blu notte. La trama, va detto, è la meno valida della serie (specialmente nel finale), tanto che buona parte di questo episodio si può considerare un prologo volto a introdurre i personaggi principali e a gettare le premesse degli eventi che seguiranno: da qui una sovrabbondanza di dialoghi espositivi non sempre irresistibili (ma necessari per chi non ha letto il libro). Belle le musiche di un John Williams pure non impegnato al massimo, e fondamentale l'apporto degli effetti speciali nel tratteggiare un mondo dove la magia fa parte della vita quotidiana: anche lo spettatore più cinico non potrà fare a meno di restare a bocca spalancata almeno una volta o due! Ma, fortunatamente, più importanti della computer-grafica sono i personaggi, ancora un po' schematici (si migliorerà in seguito) ma ai quali è davvero facile e naturale affezionarsi. HP e la Pietra Filosofale, nonostante i difetti, è una fortunata eccezione alla triste prassi che vorrebbe i film per bambini di qualità sempre inferiore a quelli "per adulti"; e la cosa bella, è che il meglio doveva ancora venire.
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