Questo film tratto da una storia vera autobiografica sembra elidere il confine tra finzione e realtà.Da un punto di vista cinematografico la protagonista fa fatica a darci la sensazione dei periodi estremamente lontani tra presente ed i lunghissimi flashback, sembra sempre la solita. Steve Zahn,il marito drogato,è stato sicuramente più bravo e convincente, nell'ultima scena si vede un uomo distrutto dalla droga,una larva in cui c'è ancora una piccola luce di umanità nel legame col figlio ed è bravissimo.Il film è sicuramente piuttosto lungo e qualche sforbiciata l'avrebbe reso più godibile. Anche il figlio Jamieson,nel ruolo di ventenne,è bravo e convincente.Nel complesso è un buon film, niente di trascendentale, ma risulta piacevole. Da un punto di vista della vicenda umana invece è lo spaccato,su cui riflettere,di un disastro,la protagonista,che pare rifiutare a più riprese questo povero figlio,solo e spezzato in una vita tanto dura, quanto invece lo era stata facile per lei (nel crescere nella famiglia del padre poliziotto),alla fine si confessa ed al figlio che le dice di essere stato il suo"problema"risponde con sincerità che quensto non vero anzi al contrario lui l'ha salvata dal"problema" esistenziale che era dentro di lei e dentro la sua generazione.Ecco credo sia qui la spiegazione del film,l'incidente della nascita di questo povero piccolo la salva, con tutte le sue necessità a cui lei viene continuamente richiamata, dallo sbandamento della sua generazione. Quella del'68 che si perse tra la droga, la perdita di ogni riferimento e valore,la perdita del senso etico dell'esistenza,e che si servì della guerra Vietnam(come tante altre precedenti e successive)come pretesto per rifiutare le responsabilità e gli impegni che la vita impone. Una generazione "marcia dentro"che ha lasciato macerie ovunque sia passata,ed i figli di questi hanno messo lacrime e sangue per ritrovare un equilibrio,(quando ci sono riusciti).In questo senso la storia è impietosa e sincera,quel bambino la salva dagli sbandamenti,la tiene lontana da quello che accadeva intorno (cosa che evidentemente non vive il padre).La fa crescere duramente,lei immatura che aveva la presunzione di essere "grande e autonoma" come migliaia della sua generazione del "disastro".Dovrà crescere per forza e quel figlio più adulto e maturo di lei la obbliga a fare i conti con se stessa, quei conti che non voleva assolutamente fare.L'ultima scena della riappacificazione col padre è giocata sull'ironia del silenzio,lei dice che suo figlio la riproverava di non aver fatto abbastanza per lui e mentre lo dice si rende conto che è proprio così,lui ha pagato gli errori della madre e non viceversa, ed allora il padre poliziotto sorride in silenzio..lei forse solo adesso sta cominciando a capire,a crescere,ed il padre l'abbraccia mentre guida.E' la metafora dell'abbraccio che tanti della generazione del'68 hanno avuto poi negli anni'80 e'90 con i loro genitori, nel riconoscimento dei loro enormi errori.
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