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In the mood for love

Opinioni presenti: 32
Media Voto: Media Voto: 8.5 (8.5/10)

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Il miglior film del terzo millennio

(10/10) Voto 10di 10

Un piccolo grande film. Due vicini di casa, un uomo e una donna, scoprono che i rispettivi coniugi li tradiscono con notti di amore quando vanno all' estero per lavoro.I due, dopo aver acquisito consapevolezza del fatto, cominciano a frequentarsi e tra loro nasce una relazione platonica (?).Tutto qui. Wong pero' riesce a trasformare la trama scarna in un film emozionante, a tratti struggente, il miglior melo' della storia del cinema. La regia e' strepitosa, ai massimi potenziali della macchina da presa, con un geniale uso del ralenty, colori pastosi che invece di un immagine formano un universo trasfigurato, in cui le vesti sono le anime(infatti i vestiti di lei riflettono il suo stato d' animo), e gli sguardi dicono piu' di mille parole. Colonna sonora composta da soli tre pezzi, ma che pezzi!I due attori sono ispiratissimi, e danno l'impressione non di recitare un personaggio, ma di esserlo effetivamente. Una pecca:la durata esigua. Memorabile, con un seguito ugualmente perfetto, ma diverso:2046.



Gabriel, 18 anni, Roma.




Però va visto più di una volta!

(10/10) Voto 10di 10

Incomparabile! La più bella storia d'amore, fatta di silenzi e di sguardi, e di accenni molti pudici, che sia mai stata realizzata per il grande schermo!



Amanda, 25 anni, Milano (MI).




Immagine e poesia

(8/10) Voto 8di 10

Se proponessi un film lungo più di due ore, completamente ambientato in poche stanze ed un pugno di personaggi, in cui si narrano solo gli eventi essenziali e il silenzio sembra regnare sovrano, chi mai si preparerebbe propositivo alla visione? Eppure tale apparente mattone si rivela in realtà un prodotto degno di applausi, nonché di rientrare a pieno titolo in quella categoria di film che non sono solo pellicole, ma vere opere d’arte. Come i versi di una poesia possono sprigionare molteplici e più profondi significati delle parole che li compongono, così queste povere e ripetitive scene sanno comunicare all’uomo qualcosa di sottile, difficile da contornare. Hong-Kong, anni 50, varie famiglie vivono lungo uno stretto corridoio, condividendo cucina, telefono e momenti quotidiani. Fra queste, due giovani coppie, che per strane coincidenze si dividono ad un stesso momento per la partenza di uno dei due coniugi: la signora Su e il signor Chow non impiegano molto a comprendere che le loro rispettive dolci metà li hanno abbandonati per scappare insieme. Tra loro nasce uno strano rapporto, un misto tra conforto reciproco, malinconia, ed infine amore. Lo sfondo è per lo più quello dell’appartamento, il corridoio che unisce tutte le porte, che nel corso del film assume un ruolo preponderante: spesso il personaggio esce dall’inquadratura, mentre la camera rimane a fissare ancora per alcuni secondi il vuoto della stanza o del corridoio. Come se quei muri fossero anch’essi parte del film, partecipi delle vicende che ospitano. Inquadrature immobili, fisse, ma di un’intensità sorprendente. Ed è proprio questa la caratteristica più spiccata della pellicola: l’eleganza, dall’abbigliamento sobrio ma impeccabile della signora Su agli scarsi ma sentiti dialoghi. Il sentimento stesso che si sprigiona tra i due è di un’eleganza impalpabile: non amore appassionato, non foga appassionata, bensì un affetto dolce e contemporaneamente forte, intessuto inscindibilmente con malinconia e solitudine. Non l’amore travolgente al quale siamo abituati da eroi ed eroine degli schermi occidentali, ma un sentimento che lentamente e silenziosamente in punta di piedi attraversa il corridoio per spiare non visto la camera dell’altro. Riservato, sincero. Se lo sfondo è parte tanto importante della vicenda è anche grazie ai colori che legano le scene l’un l’altra: luci calde, avvolgenti, colorano la prima parte del film. Tende e corridoi si tingono di arancioni, rossi, marroni, il piccolo appartamento diventa caldo ed accogliente. A fine film, invece, uno stacco netto recide il passato dal presente. Un passato che si può solo accettare con rassegnazione, su cui non si può più agire; un passato che, come dice la voce della signora Su fuori campo, risulta ormai “sfocato”. A testimoniarlo, ai colori caldi degli anni dell’appartamento si sostituiscono quelli freddi della nuova realtà: un cielo tersissimo contro cui si scaglia un albero solitario, il grigio impenetrabile delle montagne.



Kla!, 19 anni, Milano.




Ah,,,bello, bello...per carità...però che p***e!

(5/10) Voto 5di 10

Premetto, non sono un amante del cinema "lento" di scuola orientale. Ho un grande limite verso questo tipo di cinema: non riesco minimamente ad immedesimarmi. Così quando vedo due persone che si guardano insistentemente con espressione addolorata per più di sette minuti tendo a considerare l'eventualità che possa trattarsi di due pazienti, sofferenti di emorroidi, in attesa di entrare nello studio del medico. ...E non che si struggono per un amore impossibile che le convenzioni di Hong Kong ostacolano. Ripeto, è un mio limite. Tuttavia premiare entrambi i protagonisti con il premio di miglior interprete mi sembra un tantino eccessivo. Non sono uno di quelli che ritiene sia necessario rappresentare uno schizofrenico muto, omosessuale e paralitico per vincere il premio...ma almeno esibire più di una sola espressione nell'arco del film sarebbe cosa gradita. Eppoi rivendico il mio diritto di poter dire: "Sarà...però che p***e!". Come con Elephant e Mulholland Drive, tié.



Marco, 27 anni, Roma.




Raffinatezza

(10/10) Voto 10di 10

Di atmosfera in atmosfera, un gioco inarrivabile di sentimenti con una ricchissima dotazione di elementi asiatici, incommensurabile. Due finali a disposizione, a sottolineare l'elemento del gioco probabilista. Meritevole di capillare attenzione.



Giorgio, 43 anni, Sarezzo (BS).





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