Se proponessi un film lungo più di due ore, completamente ambientato in poche stanze ed un pugno di personaggi, in cui si narrano solo gli eventi essenziali e il silenzio sembra regnare sovrano, chi mai si preparerebbe propositivo alla visione? Eppure tale apparente mattone si rivela in realtà un prodotto degno di applausi, nonché di rientrare a pieno titolo in quella categoria di film che non sono solo pellicole, ma vere opere d’arte. Come i versi di una poesia possono sprigionare molteplici e più profondi significati delle parole che li compongono, così queste povere e ripetitive scene sanno comunicare all’uomo qualcosa di sottile, difficile da contornare.
Hong-Kong, anni 50, varie famiglie vivono lungo uno stretto corridoio, condividendo cucina, telefono e momenti quotidiani. Fra queste, due giovani coppie, che per strane coincidenze si dividono ad un stesso momento per la partenza di uno dei due coniugi: la signora Su e il signor Chow non impiegano molto a comprendere che le loro rispettive dolci metà li hanno abbandonati per scappare insieme. Tra loro nasce uno strano rapporto, un misto tra conforto reciproco, malinconia, ed infine amore.
Lo sfondo è per lo più quello dell’appartamento, il corridoio che unisce tutte le porte, che nel corso del film assume un ruolo preponderante: spesso il personaggio esce dall’inquadratura, mentre la camera rimane a fissare ancora per alcuni secondi il vuoto della stanza o del corridoio. Come se quei muri fossero anch’essi parte del film, partecipi delle vicende che ospitano. Inquadrature immobili, fisse, ma di un’intensità sorprendente. Ed è proprio questa la caratteristica più spiccata della pellicola: l’eleganza, dall’abbigliamento sobrio ma impeccabile della signora Su agli scarsi ma sentiti dialoghi. Il sentimento stesso che si sprigiona tra i due è di un’eleganza impalpabile: non amore appassionato, non foga appassionata, bensì un affetto dolce e contemporaneamente forte, intessuto inscindibilmente con malinconia e solitudine. Non l’amore travolgente al quale siamo abituati da eroi ed eroine degli schermi occidentali, ma un sentimento che lentamente e silenziosamente in punta di piedi attraversa il corridoio per spiare non visto la camera dell’altro. Riservato, sincero.
Se lo sfondo è parte tanto importante della vicenda è anche grazie ai colori che legano le scene l’un l’altra: luci calde, avvolgenti, colorano la prima parte del film. Tende e corridoi si tingono di arancioni, rossi, marroni, il piccolo appartamento diventa caldo ed accogliente. A fine film, invece, uno stacco netto recide il passato dal presente. Un passato che si può solo accettare con rassegnazione, su cui non si può più agire; un passato che, come dice la voce della signora Su fuori campo, risulta ormai “sfocato”. A testimoniarlo, ai colori caldi degli anni dell’appartamento si sostituiscono quelli freddi della nuova realtà: un cielo tersissimo contro cui si scaglia un albero solitario, il grigio impenetrabile delle montagne.
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