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One Hour Photo
Quello di Sy Parrish (Robin Williams) è un mondo fatto di plastica. Come di plastica, finta e ingannevole, così simile alle cose vere eppure così lontana da esse perché manchevole del caldo elemento dell'autenticità, è la sua vita trascorsa tra le dominanti blu di una stampa fotografica e le immagini che magicamente appaiono su di essa. Sy Parrish ruba quelle immagini, fa propri gli attimi felici immortalati dall'obbiettivo di una macchina fotografica a buon mercato, di quelle che si usano per una festa di compleanno o per una gita a Disneyland. Si immagina davanti a quell'obiettivo, a festeggiare assieme a quella famiglia, padre madre e figlio, che lui ritiene felice. Sogna di essere un caro anziano zio, accolto nell'accogliente alveo degli affetti familiari a sorbire un te durante un noioso pomeriggio domenicale o a festeggiare con loro un freddo Natale imbiancato dalla soffice neve.
Quella di Sy è una non vita, tutta compressa la sua esistenza sulle vicende della famiglia Yorkin (la bella signora Yorkin è interpretata da Connie Nielsen, la conturbante Lucilla de "Il gladiatore") di cui segue le vicende sin dalla nascita del loro figlio Jake. Il bambino ora ha otto anni e Sy ha sviluppato tutte le foto che hanno riguardato lo scandire della sua giovane esistenza. Ne ha seguito le tappe appuntandone le foto su una delle pareti della sua casa solitaria. Sy succhia la vita da quelle fotografie, come un innocuo parassita, si accontenta di vivere ai margini di quella che gli sembra essere un'isola felice.
L'esordiente regista e sceneggiatore Mark Romanek (alle sue spalle numerose esperienze come realizzatore di video clip) svolge il suo compito con diligenza fino a che la storia si impernia essenzialmente sulla monomaniaca attività di Sy. Lascia sciolte le briglie di Robin Williams che realmente impressiona per la lucida follia degli occhi infossati e cerchiati, per quel digrignar di mandibole, per lo sguardo capace di esprimere un senso di disarmante solitudine. Abituati a vederlo in ruoli così consolatori e così concilianti, sorprende la sua versatilità e l'assoluta serenità con la quale affronta un ruolo talmente diverso dai precedenti. Attore a tutto tondo, non si concede, e non concede, alcuna pausa nel delirante incedere del suo personaggio verso un'inevitabile finale di crescente alienazione. Williams rimane sicuro ed efficace, come un coltello scagliato nell'acqua, anche nel finale dell'opera quando le doti del regista mostrano tutti i suoi limiti, e quelli della storia. Nella seconda parte del film, quando alle filosofiche riflessioni di Sy sulla fotografia si sostituiscono azione e movimento, il giovane regista, alle prese con la necessità di escogitare un finale convincente e coerente con la storia che lo precede, si smarrisce in soluzioni confuse ed approssimative che finiscono per inficiare quanto di buono si era visto nella prima parte.
Un film bello a metà, da vedere per non perdersi lo sguardo da pazzo di Robin Williams.
Das
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