Non sposate le mie figlie!
Era il 1967 e l’America perbenista di Lyndon Johnson veniva travolta da quella che sarebbe stata poi ritenuta una delle migliori commedie della storia del cinema: “Indovina chi viene a cena?” di Stanley Kramer con Katharine Hepburn, Sidney Poitier e Spencer Tracy (che morì solo diciassette giorni dopo la fine delle riprese del film) irrompeva come un inno ai valori di uguaglianza e fratellanza. 1967, solo due anni prima accadeva la marcia da Selma a Montgomery per affermare i diritti civili uguali per tutti, avvenimento che verrà trattato nel film “Selma”, ora nelle sale, candidato premio Oscar 2015. E arriviamo proprio al 2015 con il film di Philippe De Chauveron “Non sposate le mie figlie” (il titolo originale era molto più incisivo, ma questa non è una novità), già campione di incassi in patria, la Francia, da poco scossa dall’attentato alla redazione di Charlie Hedbo. Impossibile non citare tutte questi fatti e questi film nel recensire la commedia di De Chauveron che va a toccare con eleganza, ironia e (grande) intelligenza il (virgolettato) problema integrazione oggi più vivo che mai. Non è retorica se diciamo che “Non sposate le mie figlie!” dovrebbe essere proiettato anche sui muri per strada, tanto è importante il messaggio che lancia.
Claude e Marie sono messi a dura prova quando una dopo l’altra, le loro figlie si innamorano e si sposano con quattro giovani provenienti ognuno da culture diverse. E’ così che si ritrovano in casa un mussulmano, un ebreo, un cinese, e infine un africano. Si innescano una serie di battibecchi ed equivoci, ma alla fine vinceranno i sentimenti…
Analizzando il film in modo freddo va detto che in effetti l’inizio è un pochino fiacco, con una prima parte un po’ lunghetta dove vengono introdotti i vari personaggi e la sensazione è di un volo raso terra. Fortunatamente a un certo punto si cambia marcia e il film decolla per davvero. Più precisamente quando entra in scena Charles, il genero di origini africane, che si porta dietro tutta la sua famiglia. Il film si fa scoppiettante, con una sceneggiatura che gioca sui luoghi comuni con dialoghi che strappano molte risate.
Ma più della regia e del ritmo incalzante e più ancora della ottima interpretazione del cast, con le due sagome Christian Clavier e Chantal Lauby (genitori affranti più per gioco che per davvero) che sono imperdibili, si premia la cura con cui è stato fatto tutto il film. Una commedia per tutti e che tutti dovrebbero vedere. Ve ne innamorerete.
La frase:
"…Io razzista? Di quattro figlie ne ho regalate tre a figli di immigrati!".
a cura di Diego Altobelli
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