Meduse
Tre storie nella Tel Aviv di oggi, sulla solitudine e il rapporto degli individui con la vita. Vincitore della Camera d’or (migliore opera prima) al Festival di Cannes 2007, e distribuito qui da noi da Nanni Moretti, “Meduse” è scritto e diretto da due famosi scrittori israeliani, Etgar Keret e Shira Geffen. E’ un film particolare che fonde realtà e metafora per far emergere la propria visione sulle esistenze di persone qualunque. Alla base di tutto, la problematicità del contatto, sia fisico che mentale e della comunicazione.
L’abbandono (così inizia l’avventura di Batya: con il ragazzo che se ne va) che non ha reazioni, la corrente che muove le persone che non prendono coscienza di sé stesse.
La chiave di lettura del film, è ben spiegata dalla poesia che viene letta per ben due volte durante la narrazione e di cui, a fine recensione, riportiamo un passaggio con “la frase”. A questa possiamo aggiungere le parole, più esplificative di qualsiasi intermediazione critica, dei due autori che presentano il film affermando: “Il mare è l’elemento unificante, una specie di inconscio collettivo dove i personaggi possono confrontarsi con loro stessi. I protagonisti si illudono di scegliere il proprio cammino, si muovono come meduse senza poter controllare la propria vita. Le correnti sotterranee che li spingono provengono dal passato, da esperienze traumatiche o da stereotipi. Alcuni di loro riusciranno a vincerle, e così si ritroveranno tutti sulla battigia, davanti al mare, stando finalmente in un luogo chiaro e vero dove sperare”.
La regia, seppur si tratti di un esordio, riesce a rappresentare bene visualmente le tematiche contenute. Dal piano sequenza iniziale, dove Batya viene unita ai due sposi grazie ad una grassa signora, alle scene più oniriche in cui i significati della storia emergono dalla semplice composizione dell’immagine (si pensi al faccia a faccia bambina-ragazza in fondo al mare). Breve durata (80 minuti circa), ma ricco di contenuti.

La frase: "Una nave dentro una bottiglia non potrà affondare mai, né ricoprirsi di polvere. E’ bella da guardare mentre naviga nel vento...".

Andrea D’Addio

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