Ma mere
Christophe Honorè ha tratto questo film, in concorso al Festival di Taormina, da un'opera incompiuta di Georges Bataille, scrittore e filosofo decadente, che amava raccontare oscenità, estasi mistiche e il fascino della morte. Honorè, accompagnato da una Isabelle Huppert, sempre più a suo agio nei ruoli estremi (chi non ricorda La pianista di Haneke?), ha dimostrato molto coraggio data la scabrosità del tema, ma il risultato è quantomeno sconcertante.
La storia è quella di Pierre, un giovane con grosse difficoltà di relazione, profondamente attratto da sua madre. La donna, a disagio con la "venerazione sacra" che il figlio ha per lei, decide di rivelargli crudamente la sua vera natura: quella di una donna dissoluta, immorale, che ha ormai toccato il fondo e che vuole essere amata per quello che realmente è ("Sono una baldracca. Una cagna. Nessuno mi rispetta. Voglio che mi ami per la vergogna che ti ispiro"). Dopo la scoperta sconvolgente, il giovane cercherà di avvicinarsi a quel mondo, avviandosi ad una vera e propria iniziazione sessuale, che lo porterà a giochi sempre più perversi che culmineranno con l'incesto e la morte.
Honorè non avrebbe voluto che i suoi personaggi fossero giudicati con eccitazione o paura: l'obiettivo era mostrare delle creature più libere, più vive, non condizionate dalla ragione. Ma il terreno è scivoloso: perché se con la scrittura certe sottigliezze possono essere raccontate senza malintesi, con le immagini il linguaggio diventa più crudo e si lavora costantemente in bilico tra il grottesco e il ridicolo.
Al di la di ogni moralismo, forse Bataille non andrebbe trasposto sullo schermo. O forse, come pubblico, siamo ancora impreparati a registi che calcano così tanto la mano con intenti, per carità, del tutto rispettabili, ma con risultati che lasciano molto a desiderare. Fatto sta che se Ma mère è stato rifiutato al Festival di Cannes, con consueto strascico di polemiche, a noi viene il dubbio che forse hanno fatto bene.
Francesca Onorati
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