Il Lato Positivo - Silver Linings Playbook
C’è una buona dose di follia in ogni cosa. È quella Moria divina, garante di allegria e spensieratezza, capace di apportare benefici nelle relazioni interpersonali e nell’autocompiacimento, di natura divina e dal linguaggio schietto che parla ancora attraverso le pagine di un imprescindibile Elogio. Se là prendeva le distanze dal finitamente umano, ne Il lato positivo scende nell’arena dell’esistenza lasciando tracce di sé in ogni dettaglio, in ogni inquadratura, calata dentro ogni personaggio fino a rimbalzare nel campi lunghi di strade da percorrere solo in corsa e di interni che si stringono claustrofobicamente. David O. Russel confeziona un prodotto insolitamente raffinato, dove dramma e commedia si amalgamano a formare un compendio notevole, uscendo dal déjà vu di rappresentazioni edulcorate, tuttavia perfettamente in linea con quell’eternamente noto, ma non per questo meno piacevole, che costituisce la più classica delle commedie romantiche hollywoodiane. Professionisti del comico e non si destreggiano in uno script di grande presa sul pubblico, aderenti a stilemi che evitano lo stereotipismo e a caricature complesse che si allontanano abilmente dal manierismo di sé. In una tale prospettiva si concentra il cast d’eccezione di quest’opera, dove la candidatura agli Oscar lascia intendere l’ottima scelta di O. Russel, potenziando quell’alchimia già facilmente avvertibile nei confini del quadro cinematografico. Il regista di The Fighter fa sfilare per le stesse vie, negli stessi corridoi che riflettono i labirinti della psiche umana, un Bradley Cooper affiancato dall’intensa Jennifer Lawrence, entrambi sorprendenti in una prova che vuole lasciare il segno non solo tra le righe di una buona sceneggiatura. Se i due riescono individualmente quanto nei duetti carichi di energia esplosiva, non da meno sono gli interpreti relegati sul piano secondario, capeggiati da quel De Niro ormai veterano del dramma, rientrato in grande stile all’interno di schemi cui riesce finalmente a piegare – fino a liberarsene – quelle stesse deformanti caratteristiche che lo rendevano una macchietta quasi grottesca nell’autoparodia gratuita. Tratto dal romanzo The Silver Linings Playbook di Matthew Quick, la pellicola seleziona due anime in pena e le concentra nel piccolo spazio di un quartiere dove la follia assurge ad un livello di sublime che si riflette nelle sfumature di ogni carattere, all’interno dei dialoghi e in atteggiamenti schizoidi che evitano l’eccesso e si allineano a quelle stranezze dell’umano vivere che le rendono perfettamente normali. Pat e Tiffany si ritrovano a dover risolvere quei conflitti interiori tanto esasperati da spedirli contro il lato opposto della carreggiata, in grado di risollevarsi dallo schianto solo dopo una terapia d’urto che esula dagli standard medici di pillole e confronti verbali, ma si registra tutta in un bacio romantico, memore di un classicismo mai fuori moda. Solo così, nel coronamento di un amore fuori dagli schemi, tutto riesce a rientrare in quei binari della vita sempre in corsa sull’esile linea di confine tra illusione e realismo, furia scatenata ed eccessivo controllo, riso e pianto propri di un’esistenza che rifugge da rigidi e abusati manicheismi. In onore di quanto c’è di positivo nell’imprevedibile, incoerente e inclassificabile storia di ognuno, dove la verità si cela negli interstizi assurdi che la rendono sensazionale.
La frase:
"La verità è che hai solo paura di sentirti vivo".
a cura di Marta Gasparroni
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