Johan Padan e la descoverta de le Americhe

Johan Padan, bergamasco, è un sempliciotto, un uomo qualunque, ma è anche bugiardo ed egoista, un uomo pronto a tutto pur di sopravvivere. Noi lo troviamo a Venezia, dove è innamorato di una ragazza accusata di stregoneria. Quando le guardie la arrestano, lui riesce a fuggire e per una serie di combinazioni si ritrova a Siviglia. Qui si susseguono altri casi più o meno fortuiti che lo faranno imbarcare per le Nuove Indie. In seguito ad una rovinosa tempesta, Johan si risveglierà sulle coste della Florida, in mezzo agli Indios. All'inizio la convivenza non è semplice, poi però con grande furbizia, il nostro eroe riesce a conquistare la fiducia e la stima di tutta la popolazione. Viene addirittura nominato sciamano del villaggio e guiderà gli Indios alla rivolta contro gli Spagnoli che occupano le loro terre e li rendono schiavi.
Trasposizione cinematografica dell'omonimo testo teatrale di Dario Fo, Johan Padan a la descoverta de le Americhe, è un film d'animazione che si potrebbe definire scoppiettante, roboante, irrefrenabile. Le scene si susseguono con il ritmo dei film d'azione, i dialoghi sono incalzanti, l'animazione, gli effetti digitali e il montaggio si sovrappongono l'uno all'altro senza la minima discrepanza, per ottenere un risultato eccellente. A parte la storia, simpatica, ingenua e scanzonata ciò che colpisce sono i disegni e soprattutto i colori. Si resta inebriati, si viene quasi travolti dagli eccessi di rosso, giallo e blu che quasi fuoriescono dallo schermo. A tratti scompaiono le forme definite, che si trasformano in un'enorme tavolozza su cui tanti colori si combinano fra loro per la pura gioia degli occhi. Sembra di essere cascati a pié pari in un quadro impressionista: lo spazio ed i corpi si dissolvono, tutto si fonde in un insieme cromatico che abolisce la pesantezza di ogni oggetto e soggetto; poi all'improvviso ecco comparire immagini dagli effetti espressionisti, che vanno da disegni e colori cupi e angoscianti a figure distorte e ipercolorate, a corpi diversi combinati fra loro. Sembra quasi di passare in rassegna dipinti di Munch, Picasso, Van Gogh e soprattutto Gauguin: donne dalla pelle ambrata e dalle forme generose che si muovono sinuose su scenari da favola, attorniate da colori sgargianti.
Un pò meno entusiasmanti le musiche che non sostengono appieno il ritmo del racconto. Decisamente snervanti gli intermezzi canori: a renderli sopportabili sono solo, ancora una volta, i disegni. Riuscita la scelta del doppiatore: Fiorello è perfetto nei "panni" del protagonista, tanto che non si riesce ad immaginare un'altra voce per il prode scansafatiche.

Teresa Lavanga

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