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Inland Empire
Los Angeles, una anziana e strana donna bussa alla casa di un'attrice in attesa di essere scritturata per un ruolo. Dopo le deliranti predizioni della vicina, l'attrice riceve la chiamata, e ottiene la parte di un film che si rivela poi essere un ramake, il rifacimento di una pellicola mai finita per l'improvvisa scomparsa degli interpreti.
Così inizia l'ultimo visionario, psichedelico viaggio di David Lynch attraverso la psiche umana, che come in un gioco di specchi gira intorno al ruolo di un unico personaggio, una donna, (innamorata e in pericolo, come cita lo slogan del film), interpretata da Laura Dern, che per la terza volta dopo "Velluto Blu" e "Cuore Selvaggio", recita diretta dal regista di "Mulholland Drive". In un turbinio di immagini allucinanti Laura Dern si trasforma dando vita ad altre donne che come nel gioco delle scatole cinesi sono contenute l'una nell'altra, legate indissolubilmente dalla sceneggiatura di un film. In certi momenti è un'attrice che recita una parte, altre la donna che interpreta, certe volte è al cospetto di allegre ragazze per poi scappare impaurita da qualcuno che la vuole uccidere. Al suo fianco Justin Teroux, anche lui già assuefatto allo stile di Lynch dopo aver recitato in "Mulholland Drive", e un grande Jeremy Irons nei panni del regista.
La sfida più grande per lo spettatore che vede un film di David Lynch è riuscire a capire fin dove vuole arrivare, quale significato recondito si nasconda dietro quelle immagini allucinanti, flash con uomini dalla testa di animali, movimenti improvvisi e inconsueti della macchina da presa. In questo film il continuo cambiare di personalità di Laura Dern, attraverso mondi e situazioni diverse, a volte bizzarre, lascerebbe intendere un'introspezione tesa alla ricerca della propria identità, del proprio Io. Ma l'ambientazione del set cinematografico porta quasi ad intendere il film come una metafora del mondo del Cinema, dove un'attrice interpreta un ruolo nel quale rimane intrappolata, senza più potersene disfare, non riuscendo più a distinguere le due personalità.
Come in un sogno Lynch passa con la telecamera da un set all'altro, da una scena all'altra, senza un ordine ben preciso aggiungendo personaggi assurdi come tre uomini dalla testa d'asino (qualcuno dice coniglio) che si muovono come sul set di una sit-com, con le risate finte in sottofondo. Il film e la Tv che si incrociano con vite reali in una visione che sembra uscire da un viaggio post allucinogeno, che nella mente del regista è stata concepita giorno per giorno, al punto che gli attori scoprivano la sceneggiatura ogni mattina prima delle riprese.
Nel mondo intangibile di David Lynch ogni opera presenta mille interpretazioni, e lo stesso regista sembra colpito da raptus creativi che poi imprime nella pellicola, e anche questa volta è riuscito a superare se stesso e la nostra immaginazione.
La frase: "Non capisco bene cosa ci faccio qua".
Monica Cabras
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